Ma quale moglie? Siamo forse stati all’ufficio civile insieme?

— Che razza di moglie saresti per me? Ma quando mai siamo andati in comune a sposarci? Hai visto timbri sul mio documento? Ti ho messo un anello al dito?

Valeria esitò. Lo desiderava da tempo, ma finora avevano vissuto senza.

— No! No! E no! — urlò Marco. — Tu non sei niente per me! Con che coraggio ti definisci mia moglie?

— Marco, non farmi questo silenzio! — supplicò Valeria, gli occhi lucidi. — Parliamone!

— E cosa potresti mai dire? — sbuffò lui. — Hai già parlato troppo!

— Ma non ho detto nulla di grave! — protestò lei.

— Ricordati: il silenzio è d’oro! Soprattutto per te! — si girò di spalle.

— Amore, basta fare il broncio! — si avvicinò sul divano.

— Meglio se non aprissi la bocca! — alzò le braccia al cielo. — Come fate voi donne a rovinare tutto con una frase? C’è un corso apposta?

Valeria interpretò il suo mutismo come rancore per le urla del mattino. Ma anche lui non era innocente: aveva rotto sia la sua tazza che la sua.

— Come hai fatto? — sbottò. — Le mani normali le hanno tutti, le tue sembrano attaccate al posto sbagliato! La tua l’hai distrutta, perché toccare la mia? Forse per far sparire tutte le tazze preferite?

Una litigata da nulla, da ignorare. Eppure Marco se n’era andato offeso al lavoro, e al ritorno non le rivolse parola. Ignorò ogni tentativo di riconciliazione, persino la cena preparata.

Bisognava aggiustare le cose.

— Marco, dimentichiamo le tazze! Sabato andiamo alla Rinascente e ne compriamo di nuove! E le tue mani… beh, crescono dove devono!

— Di che diavolo parli? — la fissò come fosse pazza. — Non capisci cosa hai combinato con quella lingua?

— Posso chiedere scusa… — mormorò. — Non arrabbiarti!

— Scuse? — ridacchiò isterico. — Se bastasse una scusa per sistemare il casino che hai fatto, sarei l’uomo più felice del mondo! Invece mi hai distrutto!

— Santo cielo, cos’ho detto di così terribile? — realizzò che non erano le tazze. Ma cosa?

— Chi ha detto alla mia capa che stava parlando con la moglie di Marco? — le sputò in faccia, furioso.

— Eri sotto la doccia, il telefono squillava — spiegò confusa — ho risposto e le ho detto di aspettare. Mi ha chiesto chi fossi. Ho detto “la moglie”. Quando ti ho portato il telefono, aveva già riattaccato. Che c’è di male?

— Di male? — una vena gli pulsava sulla tempia. — Di male?! Che razza di moglie saresti? Abbiamo firmato qualcosa in comune? Messo un anello?

Valeria arrossì. Lo voleva, ma avevano sempre rimandato.

— No! No! E no! — urlò lui. — Tu non sei niente! Come osi chiamarti mia moglie?

***

— E quanto durerà questo teatrino? — sorrise Sofia Lombardi.

— Mamma — la guardò severa — non siamo più negli anni ’50. Dopo papà, tu stessa hai avuto storie…

— Non insultare tua madre! Io so cosa mi serve! — il sorriso non vacillò. — Alla mia età, le chiacchiere scivolano. Tu sei giovane, hai una vita davanti!

— Cinquant’anni non sono la vecchiaia! Potresti sposarti ancora, magari più volte!

— Se trovassi un uomo decente, forse — si sistemò i capelli — ma mi accontento di surrogati.

— E parli a me? — rise Valeria.

Il sorriso di Sofia svanì:

— Lera, capisco che molti vivono senza matrimonio. Ma legalmente è convivenza. Nessuna garanzia!

— L’amore è la migliore garanzia.

— Oggi c’è, domani no. Un marito dà sicurezza. Pensaci: mutui, proprietà… se lui decide di regalare tutto a uno zio, non potresti reclamare nulla!

— Esageri!

— Ti racconto casi veri! — insisté l’amica Anna durante un caffè. — Senza matrimonio, devi tenere ogni scontrino, registrare ogni conversazione…

— O convincerlo a sposarti — sorrise maliziosa.

— Mamma dice di “abituarlo” chiamandolo “mariuolo”.

— Falla semplice: “mariuolo”, “mogliettina”…

***

Marco inizialmente sorrideva alle battute, ma non le ricambiava. Valeria intensificò l’assedio: “mariuolo” ovunque, finché, rispondendo alla capa, dichiarò: “Sono la moglie”. Naturalmente.

***

— Marco, viviamo insieme da sei anni! — disse dopo l’ennesimo litigio. — Pensavo fossimo una famiglia. Bambini, un futuro…

— Bastava non rispondere al telefono! — urlò. — Grazie a te, Mira Conti mi ha licenziato! Sognava di stendermi sul letto come scapolo… Ora che ho una “moglie”, sono inutile!

***

Una settimana dopo, bussò alla porta Mira Conti:

— Mi dispiace — disse — non per il licenziamento, ma perché vivevate nella menzogna. Io e Marco… beh, certe serate senza cravatta… Se avessi saputo della moglie…

— Non eravamo sposati.

— Già. Convivenza.

— Finita.

— Meglio così — sorrise la donna. — Lui non è né marito né compagno. Solo un… cretino con la C maiuscola.

Valeria annuì, amara.

Né marito, né compagno. Solo un cretino.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

4 × 4 =

Ma quale moglie? Siamo forse stati all’ufficio civile insieme?