Mani umide asciugate, dolori alla schiena, Ra si avvia ad aprire la porta.

Rosa Di Giovanni asciugò le mani bagnate e, con un gemito per il mal di schiena, andò ad aprire la porta. Il campanello suonava timidamente, ma ormai per la terza volta. Stava pulendo la finestra e non era subito andata all’ingresso. Dietro la porta c’era una ragazza giovane, molto carina, ma pallida e con occhi stanchi.

– Rosa Di Giovanni, dicono che affittate una stanza?
– Oh, questi vicini, sempre a mandarmi qualcuno! Non affitto stanza, e non l’ho mai fatto.
– Ma, mi hanno detto che avete tre stanze.
– E allora? Perché dovrei affittare?! Sono abituata a vivere da sola.
– Beh, mi scusi. Mi hanno detto che siete molto religiosa, e ho pensato…
La ragazza, nascondendo le lacrime che iniziavano a scendere, si voltò e scese lentamente le scale. Le sue spalle tremavano.

– Ragazza, torna indietro! Non ti ho mica detto di no! Ecco i giovani d’oggi, così sensibili, appena qualcosa va storto – subito in lacrime. Vieni in casa, parliamo. Come ti chiami? Possiamo darci del tu?
– Giulia.
– “Marina”, quindi. Tuo padre era marinaio?
– No, non ho padre. Sono cresciuta in un orfanotrofio. E non ho madre. Mi hanno trovata nell’androne delle scale delle brave persone e portata alla polizia. Non avevo nemmeno un mese.
– Va bene, non te la prendere. Vieni, beviamo un tè e parliamo. Hai fame?
– No, ho mangiato un panino.
– Un panino ha mangiato! Oh, la gioventù, non pensa a se stessa, poi a trent’anni già hanno l’ulcera. Siediti pure, la minestra di ceci è ancora calda. E riscaldiamo anche il tè. Ho fatto molta marmellata. Mio marito è morto cinque anni fa, e io per abitudine ho sempre preparato per due. Adesso mangiamo e poi mi aiuti a finire di pulire la finestra.
– Rosa Di Giovanni, posso fare un altro lavoro? Ho le vertigini, ho paura di cadere dal davanzale – sono incinta.
– Ancora meglio! Ci mancava solo una donna incinta. Io sono una donna di principi severi. L’hai fatto fuori dal matrimonio?
– Ma perché pensare subito male? Sono sposata. Paolo è del nostro stesso orfanotrofio. Ma lo hanno mandato in servizio militare. È venuto da poco in licenza. E quando la padrona di casa ha saputo che aspettavo un bambino, mi ha subito sfrattata. Mi ha dato una settimana per trovare un alloggio. Vivevamo qui vicino. Ma come vede – le circostanze.
– Eh sì… Le circostanze… E io cosa faccio con te? Dovrei forse spostare il mio letto nella camera degli ospiti? Va bene, prendi pure la mia stanza. E non parleremo di soldi, mi farei arrabbiare. Vai a prendere le tue cose.
– Non devo andare lontano. Tutte le nostre cose con Paolo sono nella borsa all’ingresso. La settimana è scaduta, stamattina ho già girato parecchie case con le mie cose.

Così diventammo in due… Giulia stava concludendo gli studi per diventare stilista di abiti leggeri. Rosa Di Giovanni era da molti anni invalida dopo un grave incidente ferroviario, quindi stava a casa a lavorare a maglia pizzi e colli, e li vendeva al mercato vicino. I suoi prodotti erano molto ricercati: tovagliette di pizzo, tovaglie morbide e leggere, simili a schiuma marina, che andavano a ruba. In casa c’era sempre qualche soldo. Parte veniva ancora dalla vendita di ortaggi e frutta dell’orto. Lavoravano lì insieme a Giulia il sabato. La domenica, Rosa Di Giovanni andava in chiesa, mentre Giulia rimaneva a casa a rileggere le lettere di Paolino e a rispondere. Non era ancora abituata a frequentare la chiesa, lamentava di avere mal di schiena e vertigini.

Un sabato erano in campagna, il raccolto era già stato portato a casa e stavano preparando il terreno per l’inverno. Giulia si stancava in fretta e Rosa la mandava dentro a riposare, ad ascoltare i vecchi dischi che aveva comprato col marito. E in quel sabato, dopo aver lavorato con i rastrelli, la futura mamma si era messa a riposare. Rosa Di Giovanni gettava nel fuoco rami secchi e foglie mentre guardava pensierosa le fiamme. All’improvviso udì il grido di Giulia: “Mamma! Mamma vieni presto!” Col cuore che batteva forte, dimentica delle sue gambe e schiena malate, corse verso la casa. Giulia gridava, tenendosi il ventre. In breve, Rosa convinse il vicino e l’auto, un vecchio “Fiat”, li portò a tutta velocità all’ospedale. Giulia continuava a gemere: “Mamma, mi fa male! Ma è troppo presto, troppo presto! Dovrei partorire a metà gennaio. Mamma, prega per me, che lo sai fare!” Rosa piangeva, pregava incessantemente attraverso le lacrime.

Giulia venne portata al reparto su una barella. Il vicino riportò la donna in lacrime a casa. Tutta la notte Rosa pregò la Madonna per la salute della bambina. Il mattino seguente chiamò l’ospedale.

– Va tutto bene con sua figlia. All’inizio chiamava sempre voi e Paolo, piangeva, poi si è calmata e si è addormentata. Il medico dice che non c’è rischio di aborto, ma dovrà rimanere da noi qualche settimana. E ha l’emoglobina bassa. Fate in modo che mangi bene e si riposi di più.

Quando Giulia fu dimessa, chiacchierarono a lungo fino a mezzanotte. Giulia parlava sempre del suo Paolo.

– Non è un trovatello come me. È orfano. Siamo stati insieme nello stesso orfanotrofio per tutti questi anni. Dalle elementari siamo stati amici, poi ci siamo innamorati. Mi protegge sempre. È più di un amore. Lo capisco così. Vedete come mi scrive spesso. Volete vedere la sua foto? Eccolo, il secondo a destra. Sorride…

– Bello – Rosa Di Giovanni non voleva ferire Giulia. Avrebbe avuto bisogno di nuovi occhiali. Inoltre, nella foto c’erano molti soldatini e l’immagine era molto piccola. Non riusciva a distinguere né il secondo, né il terzo, né il quinto. Solo le sagome… – Giulia, volevo chiederti, perché quel giorno mi hai chiamato mamma nell’orto?

– Sì, così… Mi sono confusa per la paura. L’abitudine dell’orfanotrofio. Lì, dal direttore all’idraulico, per noi erano tutti papà e mamme. Mi sono disabituata a fatica. Ma a volte accade ancora: quando sono in ansia o nervosa – li chiamo tutti mamma. Mi scusi.

– Capisco… – Rosa sospirò delusa.

– Zia Rosa, raccontatemi di voi. Perché non ci sono foto di vostro marito, dei bambini? Non avete figli?

– Sì, non ci sono figli. Avevo un bambino, ma è morto molto piccolo, non aveva ancora un anno. E dopo l’invalidità non ho potuto più avere bambini. Mio marito era come un figlio per me. Lo coccolavo, era tutto per me. Come per te, il tuo Paolo è l’unica persona al mondo. E dopo che lui morì, ho messo via tutte le foto. Anche se sono una persona credente, capisco che ora è con il Signore, ma mi è mancato tanto. Quando guardo le foto piango, così le ho nascoste per non cadere in tentazione inutilmente. Ora ha bisogno delle mie preghiere, non delle mie lacrime. Tu, Giulia, dovresti chiedere a Paolo di farsi fotografare meglio, metteremo la sua foto in una cornice. Ne ho qualcuna da qualche parte.

Alla vigilia di Natale, Rosa Di Giovanni e Giulia si preparavano per la festa, decoravano le stanze e aspettavano la prima stella. Giulia si spostava continuamente da un posto all’altro, massaggiandosi la schiena.

– Qualcosa non va, cara, non mi ascolti. Sei agitata come una bambina, cosa succede?
– Zia Rosa, chiami l’ambulanza. Sta per nascere.
– Ma cara? Mancano ancora giorni?
– Mi sarò sbagliata. Chiama presto, non riesco a resistere.

Dopo mezz’ora l’ambulanza arrivò all’ospedale. Il 7 gennaio, giorno di Natale, Giulia diede alla luce una bambina. Quello stesso giorno, Rosa Di Giovanni inviò un telegramma al giovane padre con la bella notizia.

Gennaio fu un mese intenso. La neonata portava gioia ma anche molte notti insonni. Con l’accordo di Paolo, Giulia chiamò la piccola Rosa, come la signora. Rosa Di Giovanni ne fu commossa fino alle lacrime. E ora la piccola Rosa Ché tanto scompiglio in casa. Coliche, insonnia, capricci a non finire. Ma erano felici. Rosa Di Giovanni soffriva meno delle sue numerose malattie.

Quel giorno era insolitamente caldo per l’inverno. Rosa Di Giovanni approfittò del bel tempo per fare la spesa. Al ritorno incontrò Giulia con il passeggino – la giovane mamma era uscita a passeggiare un po’.

– Ancora in giro un po’? Bene, Giulia?
– Sì, ancora un po’, zia Rosa.
– Bene, voi andate pure, io inizio a preparare il pranzo.

Entrando in casa, Rosa Di Giovanni diede un’occhiata al tavolo e vide una foto di suo marito in una cornice. Sorrise: “L’ha trovata! Ma ha scelto una foto di quando era giovane. Non sono interessanti gli anziani per i giovani”.

Il minestrone sobbolliva saporito quando Giulia entrò in casa con la piccola. Il vicino di casa aiutò con il passeggino. Le donne misero giù la piccola Rosa. Il nasino-bottone dormiva profondamente. Uscirono in punta di piedi dal salotto.

– Giulia – sorrise Rosa Di Giovanni – come hai fatto a trovare le foto di Alessandro?
– Non capisco, di cosa state parlando?
– E questa cos’è? – Rosa Di Giovanni indicò la foto.
– Questa? Avete chiesto voi a Paolo di farsi fotografare meglio. È andato apposta in uno studio fotografico. E la cornice l’ho trovata sulla mensola dei libri.

Rosa Di Giovanni prese la foto con mani tremanti. Solo allora si rese conto che non era suo marito. Un giovane sergente sorrideva alla macchina fotografica. La donna si sedette sul divano pallida, con uno sguardo assente, fissando il vuoto. Quando si voltò verso Giulia, quest’ultima piangeva con singhiozzi, con un batuffolo di cotone che odorava di ammoniaca.

– Mamma, guardatemi! Guardatemi negli occhi! Cosa vi succede, mamma? – piangeva Giulia.

– Giulia, apri l’armadio, ci sono delle foto sulla mensola in alto. Portale qui tutte.

Giulia portò diversi album e alcune foto incorniciate. Dal primo, le guardò… Paolo?!

– Dio mio! Chi è? Questo è Paolo? No, la fotografia è vecchia. Chi è, mamma?
– Questo è mio marito, Alessandro. Giulia, cara, dove è nato Paolo?
– Non lo so. È stato portato nel nostro orfanotrofio da Milano. E lì ci è arrivato dopo un incidente ferroviario. Gli dicevano, crescendo, che i suoi genitori erano morti.

– Dio, che errore mostruoso! Mio caro Michele, mia cara creatura, mi hanno mostrato un corpo e io l’ho identificato. Aveva una camicetta identica alla tua. Ma il volto era irriconoscibile. Tesoro, caro, sei vivo! La tua moglie e figlia vivono con me, e io non lo sapevo. Signore, sei stato tu a condurre Giulia da me. Figlia mia, dammi la foto.

Giulia, completamente sconcertata, non capiva cosa stesse succedendo. Prese la foto con la cornice. Rosa Di Giovanni la baciava, inondandola di lacrime: “Michele, amore mio, caro!”

– Paolo, – corresse timidamente Giulia.
– Che sia Paolo, ma è mio figlio, Giulia, è mio figlio! Guarda la foto del padre: è uguale!

La giovane donna aveva ancora qualche dubbio.
– Giulia, la voglia? C’è una voglia sopra il gomito destro? A forma di stella. Ho identificato il bambino nell’incidente come mio, solo perché l’età corrispondeva e la camicetta era di Michele. Ma mi è stato detto che mancava un braccino e non ho trovato la voglia. Beh, perché non dici niente?! C’è la voglia?
– La voglia c’è. A forma di stella. Mamma, mia cara, c’è la voglia!

Le due donne, abbracciate, piangevano senza fare caso al pianto della piccola Rosa nella stanza accanto, mentre chiedeva il seno di sua madre.

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