Oggi Niente Felicità

Non c’è felicità…

– Ma come hai fatto a metterti nei guai, stupida che non sei altro! A chi servirai mai con un bambino! E come pensi di tirarlo su?! Io non ti aiuterò, sappilo. Ti ho cresciuta, e adesso dovrei pure sobbarcarmi il tuo fardello! Non mi servi, raccogli le tue cose e sparisci da casa mia!

Caterina ascoltava le urla senza alzare lo sguardo. L’ultima speranza che sua zia la lasciasse restare almeno fino a quando non avesse trovato lavoro si stava sgretolando sotto i suoi occhi.
– Se solo la mamma fosse viva…
Caterina non aveva mai conosciuto suo padre, e sua madre era stata investita da un guidatore ubriaco circa quindici anni prima. Gli assistenti sociali stavano per portarla in orfanotrofio quando improvvisamente apparve una lontana parente, una sorellastra della madre. Lei la prese con sé, avendo una casa propria e uno stipendio che le permettevano di adottarla facilmente.

La zia viveva alla periferia di una cittadina del sud, verde e calda in estate e piovosa in inverno. La ragazza era sempre ben nutrita, vestita con cura e abituata al lavoro: una casa propria, un cortile e qualche animale significavano sempre tanto da fare. Forse le mancava l’affetto materno, ma chi se ne preoccupava!
Caterina studiava bene. Completò la scuola, poi si iscrisse all’università pedagogica. Gli anni di studio passarono rapidamente e la vita spensierata finì con la laurea. Quando tornò nella città che sentiva casa, non era più felice.

Dopo aver urlato a sazietà, zia Rosina si calmò un po’:
– Vai via subito, non voglio più vederti.
– Zia Rosina, posso almeno…
– Ho detto basta!
Caterina prese la valigia e uscì in strada. Non avrebbe mai pensato di tornare in quelle condizioni: umiliata, abbandonata e incinta, anche se ancora all’inizio della gravidanza, ma Caterina aveva deciso di confessare la verità.

Era urgente trovare un posto dove stare. Camminava e camminava, assorta nei suoi pensieri senza accorgersi di nulla intorno a sé.
L’estate nel sud era al suo culmine. Nei frutteti maturavano mele e pere, gli alberi di albicocca si tingevano di giallo. I grappoli di uva pendevano pesanti dalle pergole e dalle tettoie, mentre le prugne violacee si nascondevano sotto le foglie scure e rigide. Dai cortili arrivavano aromi dolci di marmellata, carne arrosto e focacce appena sfornate. Aveva sete. Caterina si avvicinò a un cancello e chiamò una donna che stava vicino alla cucina estiva:
– Signora, potrebbe darmi da bere?

Paola, una donna di circa cinquanta anni ancora robusta, si voltò alla voce.
– Entra, se sei venuta in pace.
Prese una tazza dal secchio d’acqua e la porse alla ragazza. Caterina si sedette stanca sulla panchina e bevve avidamente.

– Posso restare un po’ qui, fa molto caldo.
– Resta pure, cara. Di dove sei? Ti vedo con una valigia.
– Ho finito l’università, voglio trovare lavoro come insegnante. Ma non ho un alloggio. Non saprebbe se qualcuno affitta una stanza?
Paola la guardò attentamente. Era pulita, ordinata, ma sembrava stanca e tormentata da pensieri tristi.

– Potresti stare da me, mi farai compagnia. Non ti chiederò molto, ma ti chiedo di pagare puntualmente. Se sei d’accordo, ti mostro la stanza.
La donna era felice di avere un’inquilina, un po’ di denaro extra non guasta mai e in un paesino così lontano dal capoluogo non si trovano facilmente lavori. Suo figlio viveva lontano e veniva raramente in visita, così avrà qualcuno con cui condividere le lunghe sere d’inverno.
Caterina, ancora incredula per la fortuna, seguì la padrona. La stanza era piccola ma accogliente, con una finestra che dava sul giardino, un tavolo, due sedie, un letto e un armadio vecchio. Le bastava. Concordarono rapidamente sull’affitto e la ragazza, cambiati gli abiti, si diresse all’ufficio dell’istruzione.

Passarono i giorni. Lavoro, casa, lavoro. Caterina non faceva in tempo a staccare i fogli del calendario, il tempo passava veloce.
Si era legata alla padrona, che si rivelò una donna gentile e disponibile. Anche lei si affezionò a Caterina per il suo carattere semplice e modesto. Quando possibile, Caterina l’aiutava con i lavori di casa e spesso, la sera, bevevano il tè insieme in giardino, visto che lì l’autunno freddo arrivava tardi.

La gravidanza procedeva bene. Caterina non aveva nausea, il suo viso era pulito, solo era ingrassata un po’, ormai visibilmente. Raccontò a Paola la sua semplice storia. Incidenti del genere capitano nella vita.

Al secondo anno di università, Caterina si innamorò. E non di uno qualsiasi, ma di Federico, il figlio unico di genitori benestanti e anch’essi insegnanti. I suoi non vollero lasciarlo andare a studiare in città. Il futuro di Federico era già scritto: studio, dottorato, insegnamento all’università o ricerca. Tutto, naturalmente, vicino ai genitori.
Intelligente, educato, sempre di compagnia, Federico piaceva a tutte le ragazze, ma scelse la timida Caterina. Forse lo colpì il suo sorriso riservato, i suoi occhi marroni, o la sua figura minuta con i capelli leggermente ondulati. O forse sentì in lei una compagna di spirito forte. Difficile dirlo. Ma negli anni rimanenti di studio, i due ragazzi furono inseparabili. Caterina vedeva il suo futuro con Federico in toni rosei.

Quel giorno lo ricordava nei minimi dettagli. Al mattino si rese improvvisamente conto che non sopportava il cibo, che certi odori le facevano venire la nausea, che era stata male per giorni. E soprattutto, era in ritardo! Come poteva aver dimenticato?! Caterina comprò un test di gravidanza, tornò in dormitorio, bevve un bicchiere d’acqua e aspettò. Ebbene sì, due linee. Guardava le linee, stentando a credere ai suoi occhi: due linee. Gli esami finali erano alle porte, e ora questo! Come l’avrebbe presa Federico?

Un’ondata di tenerezza verso la piccola vita che cresceva dentro di lei sommerse improvvisamente la ragazza.
– Piccolo…, – sussurrò Caterina accarezzandosi il ventre.
Quando Federico seppe tutto, decise di presentare Caterina ai suoi genitori quella sera stessa.
Ripensando a quell’incontro, Caterina non riusciva a trattenere le lacrime. Raccontò brevemente come i genitori di Federico le proposero di interrompere la gravidanza e, dopo gli esami, di lasciare la città da sola. Federico doveva concentrarsi sulla carriera e lei non era adatta a lui.

Che cosa avessero detto i genitori a Federico, Caterina poteva solo immaginarlo. Il giorno dopo Federico entrò in silenzio nella sua stanza, posò una busta con dei soldi sul tavolo e se ne andò senza dire nulla.
Caterina non pensò mai all’aborto. Amava già quel piccolo essere che viveva dentro di lei. Era il suo bambino, solo suo. Dopo una breve riflessione, decise di prendere i soldi che Federico aveva lasciato, razionalmente pensando che le sarebbero serviti.

Ascoltata la storia, Paola le disse comprensiva:
– Capita di tutto. Non è la cosa più brutta del mondo. Hai fatto bene a non interrompere la gravidanza. Il bambino non ha colpa, sarà un conforto per te, e chissà, magari le cose andranno meglio.
Ma Caterina non voleva neanche sentir parlare di Federico. Non poteva perdonare l’umiliazione. Ricordava troppo vividamente come l’aveva abbandonata senza nemmeno cercare di spiegarsi.
Il tempo passava. Caterina aveva smesso di lavorare e camminava come un’ochetta agitandosi avanti e indietro, in attesa dell’arrivo del suo bambino. Non si riusciva a capire se sarebbe stato maschio o femmina. Non importava, l’importante era che stesse bene.
Alla fine di febbraio, di sabato, le iniziarono le contrazioni e Paola la portò in ospedale. Il parto andò liscio e Caterina diede alla luce un maschietto robusto e sano.

– Edoardo, piccolo Edoardo, – sussurrava carezzando le guance paffute del bambino.
Caterina si legò alle altre donne della sua camera. Furono loro a raccontarle che due giorni prima, la moglie del comandante della polizia di frontiera aveva avuto una bambina lì. Pare che non fossero nemmeno sposati legalmente, vivevano in unione civile.

– Non immagini quanti fiori le ha portato! Ha portato cognac e cioccolatini alle infermiere. Veniva ogni giorno in jeep. Ma le cose non andavano bene tra loro. Lei diceva sempre che non voleva figli e che era rimasta incinta per sbaglio. Poi abbandonò il bambino e scappò. Lasciò un biglietto dicendo di non essere pronta per un figlio. Ti rendi conto?!
– E il bambino?
– Fanno il possibile, ma l’infermiera dice che dovrebbe essere allattata. Chi sarebbe disposto? Tutti devono occuparsi dei propri figli.
All’ora dell’allattamento portarono la piccola.

– Qualcuna la può allattare? È debole, – l’infermiera guardava speranzosa le giovani madri.
– Datela a me, è un peccato per lei, – Caterina posò delicatamente il figlio addormentato e prese la piccola.
– È così bionda e piccola! La chiamerò Mariella.
La bambina era minuscola rispetto al suo Edoardo.
Caterina la mise al seno e la bambina iniziò a succhiare felice, ma dopo pochi minuti si addormentò profondamente.

– È davvero debole, – disse l’infermiera.
E Caterina iniziò a nutrirne due.
Dopo un paio di giorni, l’infermiera entrò e disse che il padre della bambina voleva vedere la ragazza che stava allattando sua figlia. Fu così che Caterina conobbe il capo della polizia di frontiera, capitano Giulio Rinaldi, un giovane di statura media con uno sguardo deciso e occhi azzurri.
Gli eventi successivi furono ricordati a lungo dal personale medico del reparto maternità, e poi, su suggerimento loro, da tutta la cittadina, perché il finale di questa storia meritava di essere ricordato.
Il giorno delle dimissioni di Caterina, tutti: medici, infermieri, inservienti, si riunirono sul portico davanti al quale stava un jeep adornato di palloncini azzurri e rosa. Un giovane militare con le mostrine da capitano aiutò Caterina a salire in macchina, dove Paola era già seduta, e le consegnò prima un fagotto azzurro e poi uno rosa.
Dando un ultimo saluto, la macchina partì e presto scomparve dietro l’angolo.

Ecco com’è la vita, non sai mai quali saranno le conseguenze delle tue azioni. Possono essere imprevedibili, poiché la vita a volte ci riserva sorprese che non avremmo mai immaginato.

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