Quando Azzurra è venuta alla luce, l’ostetrica ha detto alla mamma che sarebbe stata fortunata – nascere con la camicia. E fino a cinque anni Azzurra è stata davvero felice: la mamma le intrecciava i capelli, le leggeva libri illustrati, s’arrabbiava solo a volte perché Azzurra non voleva ricordare le lettere, e il papà le insegnava a pedalare in bici e la portava in campagna, lasciandola guidare lungo il sentiero sterrato.
Quando ha compiuto cinque anni, i genitori le hanno annunciato che presto sarebbe arrivato un fratellino.
– Sarà un regalo per il tuo compleanno.
E il regalo è arrivato proprio per il compleanno, rubando tutti i festeggiamenti futuri di Azzurra: dal primo anno, Piero ha occupato un posto speciale nella famiglia. Dapprima perché era piccolo, poi perché si è dimostrato un prodigio.
Piero ha imparato a leggere prima di Azzurra, che a vent’anni leggeva ancora lentamente come un bambino delle elementari (oggi si direbbe dislessia, ma allora non c’era una parola per descriverlo e Azzurra fu mandata in una classe di sostegno), contava in modo tale che l’insegnante di matematica, dopo averlo visto, si mise a chiamare il proprio professore Alessandro, per non parlare del fatto che Piero scriveva poesie, magari un po’ particolari, ma molto originali.
Così la vita felice di Azzurra è terminata – non solo il compleanno era ormai condiviso col fratello, ma tutta la sua vita ora girava intorno a Piero. Azzurra portava il fratello a scuola e a lezione d’inglese, in piscina e dal professore Alessandro, a scuola di musica e al circolo poetico. Quando Azzurra volle iscriversi a un corso di economia domestica, la mamma si indignò:
– Vuoi che lasci il lavoro per portare Pierino dal professore e a scuola di musica? Pensi sempre solo a te!
E Azzurra cedette. Inoltre, se faceva tutto per bene: non confondeva l’intricato orario di Piero, cucinava due piatti a cena (Piero, a sei anni, era diventato vegetariano, mentre papà non riusciva a passare un giorno senza carne), e specialmente quando portava soldi a casa (di sera portava a passeggio i cani dei vicini), la mamma la lodava e accarezzava la sua testa rasata.
Le avevano tagliato i capelli perché la mamma non aveva tempo di intrecciarli, doveva ripassare l’inglese di mattina con Piero o scrivere le poesie che lui pensava di notte, e Azzurra si faceva una coda disordinata che la maestra annotava con penna rossa sul diario. La mamma non amava quelle note e portò la figlia dal parrucchiere per un taglio corto, carino, ma Azzurra pianse tutta la notte per le sue trecce perdute.
– Finisci la scuola e poi fai quello che vuoi, – diceva la mamma ogni volta che Azzurra cercava di opporsi all’ennesimo compito riguardante il fratello. – A te che importa, tanto perdi tempo con le tue ricette.
Dopo la scuola, sia Azzurra che Piero, Azzurra non ottenne la libertà – a quel punto, oltre a dover preparare la colazione, il pranzo e la cena per lui con nutrienti essenziali, stirare e lavare i vestiti e altre faccende domestiche, Azzurra diventò una specie di segretaria. Gestiva l’agenda del fratello, seguiva i concorsi e le olimpiadi, smistava la sua posta. Quando chiese di lavorare in un rifugio per cani, ormai non solo la mamma, ma anche Piero la rimproverarono dicendo che senza di lei si sarebbe rovinato.
E Azzurra cedette di nuovo.
Solo una volta si ribellò all’ingiustizia quotidiana – quando conobbe Ettore.
Ettore non era bello – era alto, robusto, passava tutto il giorno al computer a scrivere codici. I familiari gli regalarono un cane sperando lo portasse a spasso un po’. Invece, assunse Azzurra – così si conobbero. E in men che non si dica, dopo aver portato fuori il cane, Azzurra si fermava a dormire da lui.
La mamma chiamava esigendo tornasse a casa – detestava stirare le camicie, che Piero indossava sempre. Piero pure chiamava per lamentarsi che non c’era nessuno a temperargli le matite, papà aveva solo portato dei cannoli, e non c’era altro da mangiare perché la mamma era a dieta.
– Lasciatemi in pace! – urlava Azzurra. – Non sono la vostra serva!
Ettore la baciava sugli occhi umidi, prometteva che un giorno si sarebbero sposati. Poi partì per l’America, ricevuta un’offerta di lavoro.
– Perdonami, – fu tutto ciò che disse.
Quando annunciarono il premio a Piero, i genitori erano scoppiettanti di orgoglio – lo gridarono a tutti i vicini, la mamma corse subito dal parrucchiere, a papà interessava la parte finanziaria perché desiderava un’auto nuova, ma mancavano i fondi, sperando che il figlio potesse condividere con lui.
Azzurra ebbe più incarichi – oltre ai soliti “pulire-portare-prendere”, contribuì a corrispondenza, prenotare voli, cercare un hotel con piscina e menu vegetariano, e così via. Si sfinì a tal punto che, quando arrivarono e tutto era pronto: il smoking, il discorso, la folla già in sala, – Azzurra esausta baciò il fratello sulla guancia dietro le quinte, sperando che i genitori avessero tenuto un posto per lei.
Un alto addetto alla sicurezza, all’ingresso della sala, le sbarrò il cammino:
– Il personale di servizio non può entrare.
– Cosa? – chiese Azzurra.
– Aspetti il suo padrone dietro le quinte, – spiegò un altro, più giovane, con uno sguardo sfrontato. – Con lo straccio che indossa non può farsi vedere lì.
Azzurra abbassò lo sguardo sul vecchio abito – non che non ne avesse un altro, semplicemente non aveva fatto in tempo a cambiarsi. Ma l’abito non era tanto male, era perché l’avevano scambiata davvero per una domestica. D’altro canto, erano vicini alla verità – una serva è una serva.
Il fratello la guardò con uno sguardo lungo e sorpreso, e per un momento sembrò che dicesse alle guardie: «Lasciatela passare, è mia sorella!». Ma il fratello restò in silenzio – l’annunciatore stava già pronunciando il suo nome, e lui andò sul palco senza nemmeno voltarsi indietro.
Lei si sedette su uno sgabello basso vicino al muro, chiuse gli occhi, scorrendo nella mente la lista delle cose da fare: ritirare il costume dalla lavanderia, prenotare l’hotel e la cena, smistare la posta elettronica – non l’aveva controllata da due giorni. Quanti messaggi congratulatori sarebbero arrivati – mamma mia, come leggerli tutti!
Non ascoltava cosa diceva Piero – aveva già provato il discorso con lei il giorno prima, era perfetto. Tutto come al solito – grazie ai genitori, agli insegnanti, pronto a lavorare per il bene del paese e l’armonia nel mondo. La memoria di Azzurra era eccellente, ascoltava distrattamente le frasi.
Ma qualcosa nel discorso cambiò. Invece di dire: «E tutto questo lo devo ai miei cari genitori (mamma oggi in abito verde e cappello con la piuma, papà in un abito scuro e camicia chiara, seduti in prima fila) e al compianto professor Alessandro (quello nel suo vestito di sempre, seduto su una nuvola e felice del suo miglior allievo)», Piero disse improvvisamente:
– Dovevo dire altro, ma ascoltate… In realtà, c’è solo una persona senza la quale non sarei qui ora.
Azzurra immaginò i genitori scambiarsi un’occhiata trionfante – ovviamente, ognuno considerava il proprio contributo più importante, mentre il professor Alessandro forse cadeva dalla sua nuvola.
– Ha dedicato tutta la sua vita a me. Per tanto tempo non me ne sono accorto, davo per scontato. E sapete, è tempo di ripagare con il bene, anche se il suo ruolo nella mia vita è inestimabile, e neanche tutti i tesori del mondo potrebbero ricompensarla.
Il padre sicuramente aveva una vena sporgente sulla fronte – succedeva sempre quando si arrabbiava, e la madre, sicuramente, arrossiva, con gli occhi pieni di lacrime di gioia.
– Dedico questo giorno a te. E tutto il denaro che ho ricevuto oggi, voglio donartelo per aprire il rifugio per cani che hai sempre sognato e fare, finalmente, quello che desideri.
Quelle parole suonarono in un modo nuovo, come se si avvicinassero a lei, e quando Piero la prese per mano e la trascinò sul palco, Azzurra capì lentamente cosa stesse succedendo.
– Vi presento mia sorella, Azzurra. Se non fosse per lei, non avrei mai raggiunto nulla.
Esplosero applausi, la luce colpì gli occhi di Azzurra. Solo in quel momento realizzò cosa stesse accadendo. Guardava il fratello con occhi grati, lui la guardava e sorrideva. E quel sorriso guarì tutto – Ettore che era partito, il corso di economia domestica mancato, i cani tristi nel rifugio… Stava lì, sotto il riflettore, curva e spaventata, ma un senso di qualcosa si risvegliava in lei, costringendola a raddrizzare le spalle.
Piero davvero le diede tutto il denaro. E assunse un ragazzo giovane che Azzurra istruì per svolgere tutto ciò che aveva fatto per il fratello in quegli anni.
– Non sarai più la mia serva, – disse Piero. – Mi dispiace, Azzurra, ero un cieco imbecille.
E Azzurra lo perdonò. Aprì un rifugio per cani, studiò per diventare pasticciera, avviò un’attività – piccola, dove dovette spesso stare al banco, ma tutto era come aveva sempre desiderato. E una sera di ottobre, quando stava chiudendo la cassa, la campanella alla porta suonò, annunciando un cliente. Azzurra sorrise amichevole a un uomo alto in un cappotto nero, iniziò a chiedere cosa volesse, ma si fermò.
Davanti a lei c’era Ettore. Dimagrito, serio, stanco. Così familiare.
– Sei tornato…
Azzurra sentì le gambe indebolirsi, afferrò il banco con le mani.
– Azzurra, – sorrise lui. – Perdonami, sono stato così stupido…
Ebbene sì – il secondo uomo più importante nella sua vita chiedeva scusa, cos’altro poteva desiderare?
A non scusarsi fu solo il padre – loro due e la madre ora non parlavano più con Azzurra, convinti fosse lei ad aver spinto Piero a dare tutto. Ma non importava – i genitori sono quelli che sono. E Ettore… era tornato e ora per Azzurra tutto sarebbe andato bene.