Quando nacque Asya, l’ostetrica disse alla madre che sarebbe stata fortunata: era nata con la camicia.

Quando Azzurra è venuta al mondo, l’ostetrica ha detto alla mamma che sarebbe stata fortunata – era nata “con la camicia”. Fino a cinque anni, infatti, Azzurra era molto felice: la mamma le intrecciava i capelli e le leggeva libri illustrati, arrabbiandosi solo di rado perché Azzurra non voleva ricordarsi le lettere. Il papà le insegnava ad andare in bicicletta e la portava in campagna, permettendole perfino di guidare sulla strada sterrata.

Quando compì cinque anni, i genitori le annunciarono che presto sarebbe arrivato un fratellino.

– Sarà il tuo regalo di compleanno.

Infatti, il regalo arrivò esattamente per il suo compleanno, portando via con sé tutte le celebrazioni future di Azzurra: dal primo anno Giacomo iniziò a occupare un posto speciale nella famiglia. Inizialmente, perché era piccolo, poi perché si rivelò un prodigio.

Giacomo imparò a leggere prima di Azzurra, che a vent’anni leggeva ancora alla velocità di un bambino di prima elementare (oggi la chiamerebbero dislessia, ma allora non si conoscevano certi termini e Azzurra fu mandata in una classe speciale). Giacomo contava in modo che la maestra di matematica, alla quale era stato presentato, si mise le mani nei capelli ed esclamò: “Mio Dio!”. E non solo: Giacomo componeva poesie tanto particolari quanto originali.

Così la vita felice di Azzurra finì: non solo doveva condividere la festa di compleanno con il fratello, ma anche tutta la sua esistenza ruotava attorno a lui. Era Azzurra che accompagnava Giacomo a scuola, a lezione d’inglese, in piscina, dal professor Alessandro Romano, a scuola di musica e al circolo di poesia. Quando Azzurra volle iscriversi a un corso di economia domestica, la mamma s’indignò:

– Vuoi forse che lasci il lavoro per accompagnare Giacomino dal professore e a scuola di musica? Pensi sempre e solo a te stessa!

E Azzurra si arrese. Inoltre, se faceva tutto bene: non sbagliava il complicato programma di Giacomo, preparava due piatti per cena (da quando aveva sei anni Giacomo era diventato vegetariano e il papà non poteva vivere senza carne) e soprattutto quando portava a casa i soldi (la sera portava a spasso i cani dei vicini), la mamma la lodava accarezzandole i capelli ormai corti.

Tagliarono i capelli ad Azzurra perché la mamma non aveva più tempo di intrecciarli: doveva ripetere l’inglese con Giacomo o annotare le poesie che inventava di notte, e Azzurra si faceva una coda disordinata, ricevendo note sul diario in inchiostro rosso. La mamma non sopportava le note e quindi la portò dal parrucchiere, dove le fecero un taglio elegante ma corto. Azzurra pianse tutta la notte per le sue trecce.

– Finiti gli studi, potrai fare quello che vuoi, – diceva la mamma, quando Azzurra tentava debolmente di protestare per un altro dovere legato al fratello. – A te cosa importa? Hai soltanto da leggere le tue ricette.

Dopo la scuola, non solo quella di Azzurra ma anche quella di Giacomo, non ottenne affatto la libertà: al contrario, oltre a dover cucinare per lui piatti bilanciati, stirare e lavare i vestiti e fare altre faccende domestiche, Azzurra diventò una specie di segretaria. Gestiva l’agenda del fratello, seguiva i concorsi e le Olimpiadi, ordinava la sua corrispondenza. Quando accennò al desiderio di lavorare in un rifugio per cani, non solo la mamma ma anche Giacomo iniziarono a riprenderla, lamentandosi che senza di lei sarebbero stati persi.

E Azzurra si arrese di nuovo.

Solo una volta si ribellò contro l’ingiustizia abituale: quando conobbe Boris.

Boris non era un bell’uomo – alto, robusto, passava tutto il giorno al computer a scrivere codici. I parenti gli avevano regalato un cane nella speranza che iniziasse a passeggiare un pochino. Ma invece di farlo di persona, assunse Azzurra – così si conobbero. E in qualche modo, accadde che, dopo le passeggiate col cane, Azzurra restava da lui per la notte.

La mamma chiamava e insisteva perché tornasse a casa – non sopportava stirare camicie, che invece il fratello portava sempre. Giacomo la chiamava e si lamentava che nessuno affilava le sue matite, papà aveva portato di nuovo i pasticcini e non c’era altro da mangiare perché la mamma era a dieta.

– Lasciatemi in pace! – gridava Azzurra. – Non sono una serva!

Boris le baciava gli occhi umidi, promettendole che un giorno si sarebbero sposati. Poi però se ne andò in America, avendo ricevuto un’offerta di lavoro vantaggiosa.

– Perdona, – disse lui soltanto.

Quando annunciarono che Giacomo aveva vinto un premio, i genitori per l’orgoglio quasi esplosero – lo raccontarono a tutti i vicini, la mamma corse a prenotare un appuntamento al salone di bellezza, al papà interessava la parte economica, perché desiderava tanto comprare un’auto nuova, ma i soldi non bastavano, quindi magari il figlio ne avrebbe condiviso un po’ con lui.

Oltre ai soliti compiti “sistemare-portare-prendere”, aumentò il lavoro per Azzurra: dovette gestire intense corrispondenze, prenotare voli, cercare hotel con piscina e menù vegetariani e così via. Era talmente stremata che, quando arrivarono, tutto era pronto: il smoking, il discorso, e la folla di spettatori l’attendeva in sala – Azzurra, esausta, baciò sulla guancia il fratello dietro le quinte, sperando che i genitori le avessero riservato un posto.

Un alto addetto alla sicurezza le sbarrò l’uscita verso la sala.

– Il personale non può entrare.

– Scusi? – non capì Azzurra.

– Aspetti il suo padrone dietro le quinte, – spiegò un altro, più giovane e con uno sguardo sfacciato. – In un abito come quello non può presentarsi laggiù.

Azzurra abbassò lo sguardo sul suo vecchio vestito – non è che non ne avesse un altro, ma non aveva avuto tempo di cambiarsi. Tuttavia, non sembrava così indecente, e il problema non era il vestito, ma che l’avessero scambiata per personale di servizio. D’altra parte, non erano lontani dalla verità – una serva è una serva.

Il fratello la osservò a lungo con uno sguardo sorpreso, e per un attimo ad Azzurra sembrò che lui avrebbe detto a quei vigilanti: “Lasciatela passare, è mia sorella!”. Ma Giacomo non disse nulla – il presentatore stava già pronunciando il suo nome ad alta voce, e lui andò verso il palco, senza neppure voltarsi a guardarla.

Azzurra si sedette su uno sgabello vicino al muro, chiuse gli occhi, rivedendo mentalmente la lista delle cose da fare: portare il vestito in lavanderia, prenotare l’hotel e la cena al ristorante, ordinare le e-mail – non era riuscita a controllarle da due giorni. Quanti messaggi di congratulazioni arriveranno – accidenti, come farà a leggere tutto quanto!

Non ascoltò cosa stava dicendo Giacomo – la sera prima lui aveva già provato il discorso davanti a lei, sicuramente perfetto. Come sempre, ringraziamenti ai genitori, ai professori, e l’impegno a lavorare per il bene della patria e per l’armonia mondiale. Azzurra aveva una memoria eccellente e seguiva il discorso distrattamente.

Ma qualcosa andò storto. Invece di dire: “A tutto questo devo molto ai miei cari genitori (la mamma oggi in un abito verde e cappello con piuma, il papà in un abito scuro coordinato e camicia chiara, seduti in prima fila) e all’indimenticabile professore Alessandro Romano (quello in un abito funebre blu, seduto su qualche nuvola a guardare il suo miglior allievo con gioia), Giacomo disse:

– Qui dovrei dire altro, ma ascoltate… In verità, c’è solo una persona senza la quale oggi non sarei su questo palco.

Azzurra si immaginò la mamma e il papà che si guardavano trionfanti – naturalmente ciascuno pensava che il suo contributo fosse il più importante, e Alessandro Romano probabilmente cadde giù dalla nuvola in quel momento.

– Ha dedicato tutta la sua vita a me. Per tanto tempo non me ne sono accorto, l’ho dato per scontato. Ma sapete, è tempo di ripagare il bene con il bene, sebbene devo ammettere che il suo ruolo nella mia vita sia impagabile, e anche tutti i tesori del mondo non potrebbero mai ricompensarla appieno.

Il papà sicuramente aveva una vena gonfiata sulla fronte – succedeva sempre quando si arrabbiava, e la mamma probabilmente si era arrossata e aveva gli occhi lucidi di commozione.

– Dedico questo giorno a te. E tutto il denaro che ho ricevuto oggi, voglio affidarlo a te, affinché tu possa aprire il rifugio per cani di cui hai sempre sognato e, in generale, fare tutto ciò che desideri.

Queste parole suonarono diverse, quasi avvicinandosi a lei, e quando Giacomo la prese per mano e la trascinò sul palco, Azzurra non capì subito cosa stesse accadendo.

– Signore e signori, questa è mia sorella Azzurra. Se non fosse per lei, non avrei mai raggiunto nulla.

Gli applausi risuonarono, la luce intensa colpiva Azzurra negli occhi. Solo in quel momento iniziò a capire cosa stava succedendo. Guardava il fratello con occhi grati, e lui la guardava e sorrideva. E quel sorriso guarì tutto – Boris andato via, il corso di economia domestica mai iniziato, i cani soli nel rifugio… Stava in piedi sotto i riflettori, curvata e timorosa, ma dentro di lei si risvegliava qualcosa che la spinse a drizzare le spalle.

Davvero affidò tutti i soldi a lei. E assunse un giovane ragazzo a cui Azzurra insegnò tutto quello che aveva fatto per il fratello in quegli anni.

– Non sarai più la mia serva, – disse Giacomo. – Perdona, Azzurra, ero un cieco stupido.

E Azzurra lo perdonò. Organizzò davvero il rifugio per cani, si iscrisse a un corso di pasticceria, avviò un’attività – piccola, spesso doveva lavorare dietro al bancone da sola, ma era esattamente come aveva sempre sognato. Un giorno, in una fredda sera di ottobre, mentre si stava apprestando a chiudere la cassa, la campanella suonò, segnalando l’ingresso di un visitatore. Azzurra sorrise cordialmente all’uomo alto con un impermeabile nero e stava per chiedergli cosa desiderasse, ma si fermò, ammutolendo.

Davanti a lei c’era Boris. Dimagrito, severo, stanco. Ma così familiare.

– Sei tornato…

Azzurra avvertì le gambe cedere e si aggrappò al bancone con le mani.

– Azzurrina, – sorrise lui. – Perdona me, stupido, ero così in torto…

Eh sì, anche il secondo uomo importante della sua vita le chiedeva perdono, cosa si può desiderare di più?

Non chiese scusa solo il padre – loro con la madre ora non parlavano più con Azzurra, convinti che avesse sobillato Giacomo a darle tutto. Ma non aveva importanza – i genitori sono così, prendere o lasciare. E Boris… Era tornato, e ora Azzurra sapeva di poter affrontare qualsiasi cosa.

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