Quando la malattia divide una famiglia: dramma domestico

Nella quiete della cucina, Anna stringeva al petto una tazza di tè ormai freddo. Fuori, un novembre grigio accarezzava i vetri, mentre dentro quella piccola casa alla periferia di Milano, una tempesta si scatenava. Sua madre, Elena Bianchi, era arrivata di nuovo—con la febbre, la tosse e un fiume di lamentele. Ogni volta che Elena avesse sentito il minimo malessere, preparava la valigia e si rifugiava da sua figlia. E ogni volta, Anna si trovava nel mezzo del conflitto, divisa tra la cura di una madre malata, la sua bambina piccola e un marito sempre più irritato.

Elena sosteneva che, a casa sua, in un quartiere non lontano, si sentisse terribilmente sola e spaventata. «E se mi sentissi peggio? E se non riuscissi a cavarmela da sola?» ripeteva, guardando Anna con occhi pieni di rimprovero. Ma Anna sapeva che ciò non riguardava solo la paura. Quando si ammalava, sua madre diventava una regina capricciosa, pretendendo attenzioni ogni minuto. E Anna aveva altro a cui pensare—un anno di maternità, la piccola Giulia che imparava a camminare e reclamava il suo affetto, e suo marito Luca, la cui pazienza svaniva con ogni nuova visita della suocera.

Quando era malata, Elena cercava di starsene in camera sua, ma i virus non chiedevano permesso. Andava in bagno, entrava in cucina, lasciandosi dietro una scia di colpi di tosse e starnuti. Anna temeva per Giulia—e se una semplice influenza avesse colpito sua figlia? Ma spiegarlo a sua madre era impossibile. «Non lo faccio apposta, Anna—sospirava Elena—sai che sto attenta.» Poi iniziava il solito ritornello: «Preparami la minestra, ma non troppo salata, mi brucia la gola. Portami il tè, ma non bollente, mi scotto. Apri la finestra, fa caldo—no, chiudila, c’è troppa aria!» E ogni volta che Giulia piangeva, Elena si lamentava: «Quanto strilla quella bambina, non riesco a dormire.» Persino Luca, che passava semplicemente di lì, si beccava un commento: «Cammina come un elefante, sbatte le porte, non c’è un attimo di pace!»

Un tempo, era diverso. Anna e Luca vivevano la loro vita, crescevano la loro bambina, e visitavano Elena una vez al mese—per chiacchierare, aiutarla con le faccende. Sua madre era indipendente: puliva, cucinava, persino si ammalava in silenzio, chiedendo solo qualche medicina. Ma poi qualcosa cambiò. Elena cominciò a chiamare più spesso, lamentandosi della solitudine, della salute. «E se mi sentissi male e non ci fossi nessuno?» diceva con voce tremante. «Sono sola, completamente sola.» Anna cercava di tranquillizzarla: «Mamma, ti chiamo ogni giorno, siamo vicini, tutto andrà bene.» Ma sua madre non ascoltava, le sue paure crescevano come una palla di neve.

Un giorno, Elena chiamò in lacrime: si sentiva così male che dovette chiamare l’ambulanza. Luca era al turno di notte in fabbrica, e Anna dovette correre da lei con Giulia in braccio. Quella volta, portarono Elena a casa loro—le diedero da bere, la curarono. Ma da quel momento, tutto cambiò. Ora, al primo accenno di febbre o tosse, sua madre bussava alla loro porta. A volte restava due giorni, altre volte settimane. C’erano momenti in cui Elena, con la febbre alta e la tosse che la soffocava, pretendeva che Anna le stesse accanto, le portasse le medicine, ascoltasse le sue lamentele. E intanto Giulia piangeva nella culla, e Anna correva da una stanza all’altra, sentendo il peso della disperazione crescere dentro di lei.

Ogni visita si trasformava in una prova. Elena poteva offendersi se la minestra non era «come la voleva», o annunciare all’improvviso che sarebbe tornata a casa sua perché «tutti qui la infastidivano». Anna aveva paura per sua madre—e se fosse davvero partita in quelle condizioni? Ma temeva ancora di più per Giulia, per Luca, per la loro famiglia, che si spezzava lentamente. Luca, che un tempo aveva accolto la suocera con affetto, ora si rabbuiava solo al sentirne il nome. «Ci sta usando, Anna—diceva—quando sta male a casa sua, non ha problemi, ma qui vuole che tu le corra dietro.» Anna lo vedeva anche lei, ma non aveva il coraggio di dirglia la verità. «E se litighiamo?—pensava—Se si offende e smette di parlarci? Ma non possiamo andare avanti così, sono allo stremo.»

Luca non nascondeva più la sua irritazione. «Dobbiamo parlarle—diceva—altrimenti ci sfrutterà per sempre.» Anna sapeva che suo marito aveva ragione, ma il cuore le si stringeva dalla paura. Come trovare le parole per non ferire sua madre, ma proteggere la sua famiglia? Come spiegare che l’amore per lei non annullava il diritto di Anna alla sua vita? Guardò Giulia che dormiva, il volto oscurato di Luca, e capì che doveva trovare una soluzione—o quella casa, quella famiglia, non avrebbero retto quel peso.

Cosa avrebbe fatto Anna? Come avrebbe salvaguardato la pace in famiglia, senza perdere il legame con sua madre? Questa storia non era solo una questione di malattia, ma di confini, di un amore che a volte diventava un fardello troppo pesante, e di una scelta che le spezzava il cuore.

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