Una suocera mi accusa di averle sottratto il figlio, rifiutandosi di assecondare i suoi capricci.

Mia suocera mi maledice perché ho rubato suo figlio, che ha smesso di obbedire ai suoi capricci.

Tre anni fa ho varcato la soglia della casa dei genitori di mio marito, e fin dal primo momento ho capito che a mio Marco in quel nido non era mai stato permesso di essere felice. Tutto l’affetto di una madre andava al figlio minore, Luca, mentre Marco era solo un’ombra, sempre pronto a inchinarsi ai suoi ordini. Luca invece era coccolato e protetto come un tesoro fragile, senza mai dover muovere un dito.

La suocera, Paola Bianchi, e il suocero, Antonio Rossi, vivevano in una grande casa di legno ai margini di un paesino in mezzo alle colline toscane, circondato da campi e un fiume. In un posto così il lavoro non mancava mai: c’era sempre da sistemare il portico, riparare la stalla, zappare l’orto. E poi galline, caprette, frutteto – un impegno per un’intera squadra. Ringraziavo il cielo che io e Marco vivessimo lontano, a Firenze, a cinque ore di distanza dalle loro terre. Anche lui era sollevato da quella libertà. Ma non appena metteva piede nella casa dei genitori, gli pioveva addosso una valanga di lavori, come se non fosse un figlio, ma un servo assunto per un tozzo di pane.

Quando abbiamo iniziato a vivere insieme, Paola Bianchi ci raccontava favole di una vita idilliaca in campagna: falò sotto le stelle, pesca al fiume, aria fresca e vino fatto in casa. Ci siamo lasciati convincere da quelle storie e abbiamo deciso di passare la nostra prima vacanza nel loro paesino. Sognavamo tranquillità, lunghe serate in riva all’acqua, il silenzio rotto solo dal fruscio delle foglie. Ma i sogni si sono infranti contro la realtà già alla stazione.

Appena siamo arrivati, stanchi dal viaggio, la vacanza è diventata polvere. Hanno subito infilato a Marco un paio di rammendati stivali e lo hanno mandato a riparare la recinzione. A me, senza darmi tempo di riprendermi, hanno messo davanti un tavolo con una montagna di patate da sbucciare e pentole lasciate da qualche festa. E subito dopo, cucinare per tutta la comitiva: suoceri, amici, parenti lontani. Due settimane di ferie si sono trasformate in una prigione. Abbiamo acceso il falò una sola volta – e solo per arrostire carne per gli ospiti. Marco non è mai andato al fiume. Ma quello che mi mandava su tutte le furie era il comportamento di Luca. Io e mio marito ci affannavamo come animali braccati, mentre lui, pigro e compiaciuto, stava sdraiato in verifica con il telefono o dormiva fino a mezzogiorno. La sua vita ruotava attorno a tre punti: divanoPoi, una sera, mentre Luca russava sul divano e Paola gli copriva le spalle con una coperta, Marco mi ha dettocon gli occhi pieni di stanchezza: “Basta così, domani torniamo a casa nostra”.

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Una suocera mi accusa di averle sottratto il figlio, rifiutandosi di assecondare i suoi capricci.