Tornavo a casa dal lavoro, stanco come al petto San contro i baffi, tra pensieri della cena e della riunione dell’indomani. Quando, all’improvviso, sentii una voce alle mie spalle:
“Scusi! Marco Rossi?”
Mi voltai. Davanti a me c’era una giovane donna con un bambino di circa sei anni. La sua voce esitava, ma lo sguardo era fermo.
“Mi chiamo Elena,” disse. “E questo è suo nipote, Leonardo. Ha già sei anni.”
Per un attimo pensai a uno scherzo di pessimo gusto. Non riconoscevo né lei né il bambino. La testa mi ronzava per lo stupore.
“Mi perdoni, ma… deve esserci un errore,” riuscii a balbettare.
Ma Elena insistette:
“No, nessun errore. Suo figlio è il padre di Leonardo. Ho tenuto il silenzio a lungo, ma ho deciso che lei ha il diritto di sapere. Non voglio nulla da voi. Ecco il mio numero. Se vorrà incontrarlo, mi chiami.”
E, lasciandomi nello smarrimento più totale, se ne andò. Rimanemmo lì, in mezzo alla strada, con un foglietto stretto tra le dita e il cuore che batteva a mille. Corsi a chiamare Matteo, il mio unico figlio.
“Matteo, hai mai avuto una relazione con una ragazza di nome Elena? Hai un figlio?”
“Mamma, dai… è stata una cosa brevissima. Lei si comportava in modo strano, poi ha detto di essere incinta. Ma non so se fosse vero. Dopo è sparita. Non sono sicuro che sia mio figlio.”
La sua risposta mi turbò. Da una parte, avevo sempre creduto in lui. L’avevo cresciuto da solo, lavorando come un mulo per garantirgli una vita dignitosa. Era diventato un bravo professionista, stimato sul lavoro, ma a trent’anni ancora non aveva messo su famiglia. Io lo pregavo spesso di pensarci, sognando di diventare nonno. E ora, ecco: un nipote sbucato dal nulla.
Dopo un giorno di esitazione, chiamai Elena. Non sembrò sorpresa.
“Leo ha sei anni. È nato ad aprile. E no, non farò test del DNA. So per certo chi è suo padre. L’abbiamo lasciato quando ero incinta. Non sono venuta prima perché me la sono cavata da sola. I miei genitori mi aiutano. Stiamo bene. Sono venuta solo per lui: ha il diritto di sapere di avere un nonno. E lei, se vuole, può far parte della sua vita. Altrimenti, capirò.”
Appoggiai il telefono e rimasi a fissare il vuoto. Da un lato, non potevo mettere in dubbio le parole di mio figlio. Dall’altro, negli occhi di Leo c’era qualcosa di familiare, indefinibile. Un sorriso, lo sguardo, un gesto. O forse era solo il mio desiderio di avere un nipote?
Quella sera rimasi alla finestra a lungo, ripensando a quando accompagnavo Matteo all’asilo, a quando dividevamo un piatto di pasta, al primo giorno di scuola. Davvero avrebbe potuto abbandonare una donna con un figlio? O Leo non era davvero suo?
Ma anche così, sentivo una strana calma al pensiero di lui. E una rabbia feroce verso me stesso per aver dubitato. Io non chiesi mai prove quando nacque Matteo. Perché ora le pretendo da quella ragazza? Perché non riesco a fidarmi del cuore?
Non ho ancora deciso. Non ho richiamato. Ma ogni volta che passo per quella strada, guardo ogni viso che incrocio. Non so se Leo sia mio nipote. Ma non riesco a lasciar andare l’idea. Il sogno di essere nonno non muore. E forse, presto, farò quel numero. Anche solo per conoscere quel bambino che mi ha chiamato “nonno”.