Suocera Offesa: Rifiutiamo di Ospitare il Figlio Universitario

**Diario di un uomo stanco**

Sono undici anni che viviamo insieme, io e mia moglie. Abbiamo comprato a fatica un bilocale con un mutuo, e ora lo stiamo finalmente pagando. Abbiamo un figlio di otto anni, e tutto sembrava procedere secondo i nostri piani. Finché la “geniale” idea di mia madre non ha sconvolto di nuovo la nostra pace.

Mio fratello minore, Matteo, ha diciassette anni e, devo ammetterlo, non abbiamo mai avuto un vero rapporto. La differenza d’età è tanta, e poi mi ha sempre irritato il modo in cui i miei genitori lo viziano: lo trattano come un principe, perdonano tutto e non gli chiedono mai nulla.

Matteo va male a scuola, rischia di essere bocciato, eppure ogni volta che prende un voto appena sufficiente, viene premiato: un nuovo tablet, scarpe firmate… Io, ai miei tempi, per un quattro dovevo studiare giorno e notte, mentre lui riceve regali! Mia moglie è d’accordo con me.

Lo abbiamo visto rifiutarsi persino di riscaldarsi la cena da solo. Se ne sta seduto a tavola, aspettando che mamma e papà gli preparino tutto, lo servano e poi sparecchino. Dopo aver mangiato, neanche un “grazie” o un “ciao”: si alza e se ne va in camera sua. Le calze non sa dove sono, non sa farsi un tè, confonde i suoi vestiti. I miei genitori lo trattano come un invalido. Ho provato a dirglielo, ma mia madre mi risponde: “Non è come te, ha bisogno di più affetto”.

Litigi, silenzi per settimane, accuse… abbiamo cercato di starne fuori. Finché Matteo non ha deciso di iscriversi all’università qui in città, e allora è cominciato il bello.

Mia madre, senza nemmeno vergognarsene, ci ha proposto di ospitarlo. Dice che non lo prendono nel dormitorio, che un affitto è troppo caro e che lui non ce la farebbe da solo. “Siete una famiglia! Avete un bilocale, c’è posto per tutti!”, ha insistito, convinta.

Mia moglie ha cercato di spiegare con delicatezza: in una camera dormiamo noi, nell’altra nostro figlio. Dove, scusate, mettiamo un altro adulto? E allora mia madre, con gli occhi scintillanti: “Mettiamo un altro letto nella stanza di vostro figlio, vivranno insieme! Così faranno amicizia.”

Ma io ho perso la pazienza. L’ho interrotta bruscamente:
“Non sono un babysitter, mia! Vuoi scaricarci il tuo ‘bambino’? No! È tuo figlio, arrangiati! Io a diciassette anni vivevo già da solo, e sono sopravvissuto!”

Mia madre è scoppiata in lacrime, ci ha chiamati senza cuore e ha sbattuto la porta. Quella stessa sera, mio padre mi ha chiamato per rimproverarmi:
“Così non si fa in famiglia! Abbandoni tuo fratello!”

Ma io sono rimasto fermo. Ho detto che sarei andato a trovarlo se l’avessero aiutato a trovare un appartamento, ma che non sarebbe venuto a vivere da noi. “Basta trattarlo come un neonato. È ora che cresca.”

“Ha solo diciassette anni!” ha obiettato mio padre.

“Anch’io ne avevo diciassette quando me ne sono andato. E nessuno mi ha tenuto sotto le ali!” ho ribattuto, riattaccando.

Dopo, mia madre ha chiamato un paio di volte, ma non ho risposto. Poi è arrivato un messaggio: “Non contare sull’eredità.” Sinceramente? Se quell’“eredità” è il prezzo per dovermi occupare di un ragazzo viziato, no grazie. Ci abbiamo messo anni a costruirci una vita con le nostre forze, e ora voglio solo tranquillità.

Ognuno deve assumersi le responsabilità delle proprie scelte. Se qualcuno ha scelto la strada dei vizi e della comodità, ora se la sbrighi da solo. Non dobbiamo niente a nessuno.

**Morale:** A volte dire di no è l’unico modo per difendere la proprie felicità.

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