**Roma, 15 ottobre**
A volte mi sembra di vivere non nella realtà, ma in una farsa surreale. Mio figlio, un uomo adulto, sembra tornato un ragazzino a cui altri decidono la vita. Mia nuora, come un regista, dirige il loro matrimonio, mentre io rimango dietro le quinte, sempre con il portafogli in mano, pronta a intervenire. La pazienza, però, inizia a mancarmi, mentre le pretese aumentano.
Vivono insieme da anni, ancora prima del matrimonio. Prima mio figlio stava con me, a mio carico, mentre la sua futura moglie divideva una stanza con un’amica. Poi, quando si sono sposati, hanno affittato un appartamento. Non mi sono intromessa: che costruissero la loro vita come volevano. Li ho aiutati economicamente quando necessario, perché so com’è essere giovani e difficile. Non siamo ricchi, ma ho capito.
Ma ora, proprio ora, vogliono un figlio. Senza un lavoro stabile, senza una casa di proprietà, senza risparmi. Eppure fanno discorsi grandiosi: *”Il bimbo non può aspettare, il tempo passa, dopo i trenta è rischioso, ce la faremo.”* E lui, mio figlio, annuisce senza riflettere, come ipnotizzato. Lo guardo e non lo riconosco. Dov’è il tuo buonsenso? La tua maturità? Perché lasci che altri scelgano per te?
Lui lavora, sì, ma in un posto dove il salario arriva in ritardo o sparisce senza avviso. Ha cambiato lavoro almeno cinque volte. *”Il capo è inaffidabile, l’azienda fallisce”*—sempre scuse. Lei guadagna una miseria. E intanto hanno già cambiato casa tre volte. Da soli, ancora ci sta. Ma con un neonato? Con traslochi, scatoloni, pianti di notte? Chi reggerà?
Ho provato a parlarci: *”Aspettate, sistematemi, risparmiate, poi pensate a un figlio.”* Niente. La decisione è presa. Lei *”deve assolutamente”*, e lui obbedisce. E io, allora, devo farmi carico non solo da nonna, ma da seconda madre? Aiutare è sacro, certo. Ma non ho risorse infinite, né eterna salute.
E se non ce la faranno? Se tra due mesi non avranno soldi per l’affitto, i pannolini, il latte? Chi pagherà? Io. Perché dire di no a mio figlio e nipote non potrò mai. E questo mi spaventa. Sono stanca di vivere sull’orlo, con le mie spese e i miei acciacchi. Non sono di ferro.
Lei sorride e dice: *”Ce la caveremo.”* Quel *”ce la caveremo”* suona leggero, come se parlassero di una gita, non di una vita nuova. E io mi chiedo: perché non pensare, non valutare, non fare due conti?
Non odio i bambini. Sogno di coccolare un nipote, di raccontargli le favole. Ma vorrei farlo in serenità, in sicurezza, con la consapevolezza. Non nel caos e nei debiti. Vorrei che il mio nipote non si sentisse un peso, che avesse tutto: culla, vestiti, certezze. Che sapesse che mamma e papà tengono. Non che tutto ricade su di me.
Li guardo e penso: se aspettassero due anni, potrebbero sistemarsi, trovare un lavoro stabile, un mutuo. Si può vivere con saggezza, no? Ma in questa famiglia pare che prima si salti, poi si cerchi il paracadute. E qualcun altro dovrà tirarli fuori dai guai.
Taccio. So che le mie parole entrano da un orecchio ed escono dall’altro. E nel profondo, mi preparo già. A notti insonni, a nuove spese, a responsabilità non richieste. Perché quando nasce un bambino, a sacrificarsi devono essere i più anziani. Perché l’amore non è solo gioia, ma anche rinuncia. E un desiderio bruciante: che qualcuno, prima o poi, diventi davvero grande.