La mia amica voleva abbandonare sua figlia, ma il destino aveva altri piani
Qualche anno fa, la nostra famiglia realizzò finalmente un sogno: ci trasferimmo in un ampio trilocale. Nel bilocale eravamo stretti con i nostri due figli maschi, ma la situazione finanziaria di mio marito, Luca, era migliorata. Quel trasloco non fu solo un cambiamento di casa, ma l’inizio di una nuova amicizia: nell’appartamento accanto viveva una coppia giovane con una bambina, e col tempo diventammo così uniti da sembrare una sola famiglia. Festeggiavamo insieme le ricorrenze, organizzavamo gite fuori porta, e i bambini giocavano felici.
Tutto sembrava perfetto, finché un giorno arrivò la notizia più terribile: Alessio, il nostro vicino, aveva una malattia grave. Io e Luca eravamo sconvolti—un uomo così pieno di vita, all’improvviso spezzato. Elena, sua moglie e mia cara amica, cominciò a svanire giorno dopo giorno—dimagriva, si chiudeva in sé stessa. Cercai di sostenerla in ogni modo, le promettevo che sarebbe andato tutto bene, scherzavo per vederla sorridere almeno un attimo. Ma i medici non davano speranze.
Per mesi facemmo il possibile per aiutarli. Ci indebitammo, portammo loro da mangiare, portavamo la loro piccola Anna a passeggiare. Poi Alessio morì. Fu come se il cuore ci fosse stato strappato via. Elena era persa nel dolore, un’ombra di sé stessa. Per settimane non la lasciai sola. Ma presto cominciò a distanziarsi—si chiuse, evitava gli incontri, e solo la piccola Anna veniva ancora da noi—per giocare, mangiare qualcosa, o semplicemente stare al caldo.
Una mattina, Anna bussò alla nostra porta e mi chiese da mangiare con una vocina tremula. Aveva fame. Mentre divorava una merenda, preoccupata, salii da Elena. L’appartamento puzzava di alcol, lei dormiva per terra, circondata da vestiti e scatole sparse. Nel frigo, nemmeno una briciola. Provai a parlarle, a supplicarla—ma era inutile. Stava affondando, e Anna veniva da noi sempre più spesso. Le accarezzavo i capelli, promettevo che nessuno l’avrebbe fatta soffrire, e nel cuore sapevo già che era nostra. Io e Luca avevamo sempre desiderato una figlia. E il destino ce l’aveva mandata.
Una sera, uscita in terrazza per prendere aria, sentii delle urla dalla strada. Riconobbi la voce di Elena.
“Anna, vestiti subito, ho detto!”
“Non voglio! Voglio stare con zia Marisa! Lei mi aspetta!” piangeva la bambina.
Corsi giù in ascensore. Elena, ubriaca, trascinava Anna per un braccio.
“Elena, ma che fai? Non sei nemmeno in grado di stare in piedi!” gridai.
“È mia figlia! Faccio quello che voglio!” urlò lei.
“Non sei lucida, lasciala! Non verrà con te!”
All’improvviso, Elena scattò in un accesso di rabbia, strappò la mano di Anna e la spinse verso di me:
“Prenditela! Fai quello che vuoi! Tanto non mi serve più!”
Anna singhiozzava disperata. La strinsi forte, sussurrandole:
“Ci sono io, piccola. Andrà tutto bene.”
Da quel giorno, Anna rimase con noi. Il tribunale privò Elena della potestà genitoriale. Io e Luca avviammo l’adozione, e dopo alcuni mesi diventammo ufficialmente i suoi genitori. Cambiammo città. I miei figli crebbero, si sposarono, mentre Anna si iscrisse all’università, dove conobbe il suo futuro marito. Restammo in contatto, ci scrivevamo, ci telefonavamo spesso.
Poi, una mattina, mi svegliai con parole che non mi aspettavo:
“Mamma, svegliati, siamo arrivati!”
Mi alzai di colpo, credendo di sognare: Anna era sulla soglia, raggiante, con suo marito e le valigie.
“Siete qui per una settimana?” chiesi tra le lacrime.
“No. Per sempre. Abbiamo deciso di vivere qui, nella mia città natale. Vogliamo comprare una casa.”
“Allora venite a stare da me! C’è spazio per tutti!” La abbracciai e notai una mano proteggere il ventre. “Sei… incinta?”
“Sì, mamma. Già al quarto mese…”
Le lacrime non smisero più. La casa si riempì di una luce nuova, di una vita nuova. Quando nacque il piccolo, diventai nonna per la terza volta. I miei figli venivano a trovarci, le risate dei bambini risuonavano ovunque. E io, osservando la mia famiglia—mia figlia, mio nipote—sapevo che il destino aveva preso una decisione per tutti noi. E aveva fatto la scelta giusta.