«Per te il gatto è più importante di tuo nipote!» — gridava la madre

“Per te il gatto è più importante di tuo nipote!” gridava mia madre.

Fin da bambina, io, Beatrice, sognavo di avere un gatto. A vent’anni, finalmente, comprai un micino da un allevatore fidato in un paesino vicino a Verona. Lo chiamai Mimì, e divenne il mio migliore amico. Gli dedicavo ogni momento libero: mi prendevo cura di lui, giocavo, lo coccolavo. Non era un semplice animale, ma parte della mia anima, il mio conforto nei giorni difficili. I miei genitori non si opposero, ma non capivano perché fosse così importante per me. “Meglio un figlio che perdere tempo con un gatto!” sbuffava mia madre, Maria Grazia. Le sue parole mi ferivano, ma tacevo per evitare litigi.

Mia sorella maggiore, Edith, aveva un figlio, Luca, e spesso toccava a me occuparmi di lui. Però, a dirla tutta, non provavo affetto per mio nipote. Aiutavo Edith: cucinavo, lavavo, sistemavo la casa, ma badare al bambino era una fatica, non una gioia. Quando Edith era stanca, ci pensava mamma. Io, invece, tornata a casa, correvo da Mimì. Le sue fusa, la sua fedeltà mi riempivano di calore. Una volta, mia madre esplose: “Davvero un animale ti importa più del figlio di tua sorella?”

“Già,” risposi. Era la verità. Mimì era la mia luce, mentre Luca, pur essendo mio nipote, mi era estraneo. Mamma andò su tutte le furie: “Come osi? È sangue del tuo sangue!” Edith rise, chiamandomi pazza. Ma io rimasi ferma nelle mie convinzioni. Perché avrei dovuto sforzarmi di amare un bambino che non sentivo mio? La loro reazione accese in me una ribellione. Non avrei mentito per compiacerli.

Mamma, evidentemente, volle punirmi. Una sera rimasi a dormire da un’amica, e al mio ritorno Mimì era sparito. “Si sarà spaventato, la porta era aperta,” disse mamma con indifferenza. Il mio cuore si spezzò. Piansi disperata, chiamai i vicini, affissi volantini, ma Mimì non tornò mai. Quella perdita fu una tragedia. Era il mio rifugio, la mia compagnia nella solitudine. Poco dopo, mi trasferii dal mio fidanzato, Gabriele, a Milano. Adottammo un altro gatto, ma il dolore per Mimì non passò.

Due mesi dopo, tornai a trovare i miei genitori. Mio fratello minore, Davide, cedette e mi confessò la verità: mentre ero via, mamma e Edith avevano deciso di “darmi una lezione”. Cacciarono Mimì di casa perché osai dire che lui mi era più caro di Luca. Davide, inizialmente d’accordo, si era pentito. Quando lo scoprii, sentii il gelo dentro di me. Mia madre e mia sorella mi avevano tradita, mi avevano portato via ciò che amavo solo per dimostrare di aver ragione. Per loro, Mimì era un animale insignificante, per me, invece, era tutto.

Come potevano non capire? Mimì era al mio fianco nei momenti più bui, il suo affetto mi dava la forza per vivere. Luca, con tutto il rispetto, era un estraneo. Aiutavo Edith per dovere, ma lei evidentemente non mi stimava abbastanza, se si prestò a una crudeltà simile. Volevano “correggermi”, obbligarmi ad amare mio nipote come amavo Mimì. E quando non cedetti, mi punirono cacciandolo via. Non fu solo un tradimento, fu la distruzione di un pezzo della mia vita.

Non so che fine abbia fatto Mimì. Spero che qualcuno buono l’abbia trovato, che abbia una casa felice. Ma questa perdita mi resterà per sempre. Mamma e Edith hanno spezzato la mia fiducia. Il loro gesto dimostra quanto poco rispettino i miei sentimenti. Non voglio più far parte del loro mondo, dove l’amore è un dovere, non un sentimento. Mimì era la mia scelta, la mia felicità, e nessuno aveva il diritto di portarmelo via. Ora costruisco la mia vita con Gabriele e un nuovo micio, e giuro: nessuno mi farà più sentire in colpa per ciò che amo.

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