“Non avevo firmato per fare la matrigna – non era la mia vita, non la mia scelta.”
Quando ho conosciuto Marco, è stato subito chiaro: tre figli dal primo matrimonio, alimenti da pagare, regali generosi per i bambini, e l’idea di comprare un appartamento a ciascuno. Io avevo ventisette anni, lui trentasette. Sapevo cosa mi aspettava. Anzi, mi andava bene che non insistesse per avere altri figli – mi sono sempre considerata una di quelle persone che scelgono consapevolmente di non diventare genitori. *Childfree*, una decisione precisa. Vita libera, libertà di movimento, lavoro, il mio tempo.
All’inizio, tutto andava anche bene. Marco affittava una grande casa fuori Roma, guadagnava molto. I ragazzi – educati, gentili – venivano da noi nel weekend, a volte dormivano. Andavamo d’accordo, guardavamo film insieme, cucinavamo qualcosa di buono, mi rispettavano. Insomma, il ruolo della “zia simpatica del weekend” mi stava bene. Nessuno dava fastidio a nessuno.
Durò due anni. Poi… tutto andò a rotoli. Il maggiore compì quattordici anni, finì in conflitto con la madre e scappò da noi. Marco, come sempre, al lavoro dall’alba al tramonto, e io rimasi sola con un adolescente ribelle. Porte sbattute, musica a tutto volume, risposte sgarbate. Nella mia casa c’era un estraneo che si comportava come se io non esistessi – e aveva ragione, perché per lui non ero nessuno.
Passarono tre mesi, e l’ex moglie di Marco ci “mollò” temporaneamente anche gli altri due. Diceva di doversi trasferire a Milano per un nuovo lavoro, una posizione importante, e che li avrebbe ripresi appena sistemata. Ma quel “temporaneo” durò un anno. I bambini sono ancora qui. Nessuna chiamata, nessun accenno al ritorno.
Ora nella mia casa vivono tre figli altrui. Il maggiore mi ignora, fa tutto al contrario, come se fossi la domestica. Quello di mezzo è in difficoltà con la scuola, ogni sera devo stargli dietro ai compiti. Il piccolo è il più tranquillo, ma va portato a corsi, gare, attività. E tutto ricade su di me.
Non avevo firmato per questo. Non voglio fare la tata, l’autista e la cuoca nello stesso tempo. Non ho più tempo per lavorare. Facevo freelance, avevo clienti fissi, progetti, entrate. Ora – silenzio. La gente ha smesso di aspettarmi, perché sono sempre occupata con i bambini. Le giornate volano tra corse e faccende. E io, in tutto questo, dove sono?
Ho provato a parlarne con Marco. Calma, da adulti. Lui annuisce, ma ripete sempre lo stesso: “Sono i miei figli, non posso buttarli in strada.” E aggiunge: “Lo capisci, no? Non è colpa loro…” Sì, non è colpa loro. Ma neanche mia. Io non li ho messi al mondo. Non ho promesso di fare la madre. Non sono pronta a sacrificare la mia vita per le scelte altrui.
Ultimamente, mi ritrovo a pensare che non ci sia via d’uscita. Solo il divorzio. Solo la libertà. Sono stanca di essere ostaggio di una famiglia che non è la mia, degli errori di altri, di figli che non ho voluto. Non sono cattiva. Sono una persona che vuole vivere la propria vita, non quella imposta da qualcun altro. E se lui non lo capisce… allora fin dall’inizio abbiamo parlato lingue diverse.