Mi chiamo Giulia, ho trentadue anni, e da poco è finito uno dei capitoli più dolorosi della mia vita: il divorzio da mio marito. Si chiamava Matteo. Siamo stati sposati per poco più di tre anni, e a dire la verità, non sono stati anni facili. La ragione dei nostri litigi, delle offese e, alla fine, della rottura definitiva, non era Matteo. Era sua madre, Valeria Romano.
Fin dall’inizio non mi ha sopportata. Anche quando stavamo solo insieme, cercava di convincere Matteo che non ero adatta a lui, che venivo da “una famiglia sbagliata”, che ero “troppo testarda” e che non facevo bene alla sua carriera. La sua frase preferita era:
*”Sposarsi non è questione d’amore, ma di convenienza. Altrimenti si finisce nella miseria per tutta la vita.”*
Quando finalmente ci siamo sposati, ho cercato di avvicinarmi a lei. Le portavo regali, la invitavo a cena, la assistevo quando stava male. Ma è stato inutile. A ogni occasione mi lanciava frecciatine. Diceva a Matteo che non sapevo cucinare, che i nostri figli sarebbero nati deformi perché mia nonna “aveva la gobba”, e gli sussurrava persino all’orecchio che mi aveva vista “sorridere in modo sospetto” al vicino di casa.
Gli riempiva la testa di veleno. Si intrometteva in ogni nostra discussione, spuntava nei momenti più imbarazzanti, arrivava senza avvisare e inscenava drammi di gelosia. Lo convinceva che lo tradivo, e una volta ha persino portato a casa una ragazza con cui, a quanto pare, sognava di “far sposare” suo figlio. Ha organizzato una cena a lume di candela nell’appartamento in cui vivevamo ancora insieme! Ha preparato tutto lei. E io, quel giorno, stavo lavorando fino a tardi.
Matteo all’inizio rideva.
*”Mamma è un po’ strana, non farci caso,”* diceva.
Ma giorno dopo giorno diventava sempre più silenzioso, sempre meno dalla mia parte, sempre più incline a stare in disparte mentre io piangevo.
Alla fine non ce l’ho più fatta. Iniziai a svegliarmi di notte con l’ansia, mi vennero problemi al cuore, persi peso, e a un certo punto mi resi conto: non stavo vivendo, sopravvivevo. Non potevo più sopportare di vedere la madre di mio marito distruggere sistematicamente il nostro matrimonio, mentre lui restava muto a guardare. Feci le valigie e me ne andai. Senza scenate. Senza urla. Semplicemente chiusi con un punto fermo.
Matteo non provò nemmeno a trattenermi. Il giorno dopo tornò da sua madre. Lei, alla fine, aveva vinto.
Passarono due mesi. E poi, un sabato mattina, suonarono alla porta. Era lei. Valeria Romano. Con gli occhi pieni di lacrime, le mani che tremavano e un pacchetto di cioccolatini — “per il tè.”
*”Giulia,”* sussurrò, *”torna da Matteo… Non è più lo stesso. Ha lasciato il lavoro. Ha iniziato a bere. Dice di non voler più vivere…”*
All’inizio non capii cosa stesse succedendo. Poi scoppiai a ridere.
*”È proprio quello che voleva, no? Che ci lasciassimo. Che sparissi dalla sua vita. Allora goditi la compagnia di tuo figlio. Ora è solo tuo. Hai lottato tanto per questo.”*
Le chiusi la porta in faccia. Non per cattiveria. Perché faceva troppo male.
Da allora mi scrive quasi ogni giorno. Mi supplica. Dice che non sapeva quanto io sapessi tenere Matteo sulla retta via, che ero una moglie perfetta, una brava padrona di casa, una “persona luminosa.” E io leggo i suoi messaggi, e non ci credo. È la stessa donna che per tre anni ha demolito la mia vita pezzo dopo pezzo?
Non tornerò da Matteo. Non posso tornare in un posto dove mi hanno spezzata a poco a poco. Anche se lui cambiasse, anche se capisse… non sono più la stessa Giulia. Non aspetto più l’amore di qualcuno. Non cerco più l’approvazione degli altri. Voglio solo pace. Silenzio. Gioia. Senza rimproveri continui e occhi vuoti che mi osservano.
Ora Valeria Romano può godersi la sua vittoria. L’ha ottenuta. Solo che il risultato non era quello che si aspettava. Che ci rifletta. Se ne è ancora capace.