«Mio figlio ha la gastrite e sua moglie lo nutre con fast food. Non posso rimanere indifferente…»

Mi chiamo Luisa Romano. Mio figlio Luca ha appena compiuto 27 anni. Sei mesi fa ha sposato una ragazza di nome Beatrice. È intelligente, carina, di buona educazione. Sta finendo il sesto anno di medicina e diventerà dottoressa. Tutto sembrerebbe perfetto, ma non riesco a calmarmi: il mio cuore è in subbuglio. Perché vedo che non si prende cura di mio figlio come dovrebbe.

Luca soffre di gastrite cronica fin da bambino. È ereditaria, viene da suo padre. Non è un semplice “mal di stomaco da cattiva alimentazione”, come molti pensano oggi. È una malattia che, quando si aggrava, trasforma la vita in un inferno. In primavera e autunno è particolarmente difficile per lui: bruciori, dolori, vomito, insonnia. So cosa passa perché per anni mi sono presa cura di lui. Quando viveva con me, controllavo ogni cosa: dieta rigorosa, niente fritti, niente fast food, pasti regolari, minestre leggere, carne lessa, zuppe, gelatina di frutta. Non lo nutrivo soltanto — lo proteggevo.

Prima del matrimonio, avvertii Beatrice:
“Luca ha lo stomaco delicato. Devi stare attenta, specialmente nei cambi di stagione. Per favore, cucina per lui come si deve.”
Sorrise e promise che avrebbe tenuto tutto sotto controllo. Le credetti.

Ma un mese dopo andai a trovarli e rimasi sconvolta. In cucina, piatti sporchi, nel frigo solo ketchup, birra e un filoncino secco. Nel cestino, scatole di pizza e ali di pollo del fast food. Sul fornello, niente. Chiesi:

“Dov’è Luca?”

“Al lavoro, tornerà presto,” rispose Beatrice con calma.

“Ha mangiato almeno qualcosa oggi?”

“Sì, credo… qualcosa stamattina…”

Mi gelò il sangue. Sapevo come sarebbe finita. E avevo ragione. Tre mesi dopo, ospedale. Attacco acuto. Flebo, dieta, dolori. Stetti accanto a lui quasi tutto il tempo. Beatrice veniva — un’ora, due al massimo — poi diceva di dover “studiare per l’esame”. Ebbi paura.

Dopo la dimissione, portai loro un coniglio. Fresco, di qualità, comprato al mercato. Le chiesi di fare una minestra leggera. Annuì. Passò più di una settimana. Guardai nel freezer: il coniglio era ancora lì, intatto, nemmeno scongelato. E della minestra, manco a parlarne.

Offrii aiuto:

“Beatrice, fammi cucinare io. Capisco che sei occupata, hai esami…”

“Non serve!” tagliò corto. “Ce la faccio da sola.”

Ma vedo che non ce la fa. E mi fa male vedere mio figlio, che per anni ho protetto, tornare lentamente in quello stato in cui la malattia riprende il sopravvento. Lui tace. Non vuole ferire sua moglie. Evita i conflitti. Ma sta dimagrendo, è irritabile, non dorme.

Io non posso tacere. Non posso restare a guardare mentre la sua salute va a rotoli. Non voglio litigare con Beatrice. Non voglio rovesciare il loro matrimonio. Ma non permetterò che mio figlio peggiori giorno dopo giorno.

Sto seriamente pensando di parlare con sua madre. Forse può farle capire. Forse avrà le parole giuste per spiegare che un marito ha bisogno di cure, non di promesse. Che essere moglie non è solo condividere un letto e una cucina. È sostenere, curare, salvare quando l’altro soffre. E se poi sei una dottoressa, o quasi, allora ancora di più.

Non sono la nemica. Sono solo una madre. Voglio che mio figlio stia bene. E se per questo dovrò farmi avanti, lo farò. Anche se dovrò cucinare io ogni giorno, anche se dovrò portargli il caino. Ma non permetterò di vederlo impallidire, indebolirsi e soffrire. Non permetterò che lo distruggano con l’indifferenza. Perché amo mio figlio. E lotterò per lui, anche se a qualcuno sembrerà sbagliato.

La lezione è chiara: l’amore non è solo parole, è attenzione, è azione. E quando qualcuno che ami è in difficoltà, non si può restare a guardare.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

2 × 3 =

«Mio figlio ha la gastrite e sua moglie lo nutre con fast food. Non posso rimanere indifferente…»