Mi chiamo Lucia Bianchi, ho 62 anni e vivo in un piccolo paese della Sicilia. Ho cresciuto due figli: mio figlio Massimo e mia figlia Serena. Quello che è successo tra noi mi ha spezzato il cuore, lasciandomi con un dolore che ancora oggi mi tormenta.
Dieci anni fa, quando Massimo sposò sua moglie Giulia, ereditai un bilocale da mia zia. Ai tempi, la giovane coppia aspettava il primo figlio e, volendo aiutarli, permisi loro di trasferirsi nell’appartamento. “Potete starci per un po’,” dissi, “ma sappiate che non è un regalo: è solo una sistemazione temporanea finché non troverete casa vostra.” L’appartamento era vecchio e malridotto, ma con l’aiuto dei genitori di Giulia, lo ristrutturarono completamente—cambiarono le finestre, i pavimenti, persino gli impianti. Ero felice che si fossero sistemati, ma ripetevo sempre: quella casa non era loro.
Gli anni passarono. Massimo e Giulia ebbero due bambini, li iscrissero alla scuola del quartiere e si abituarono a vivere lì, dimenticando le mie parole. In dieci anni, non misero da parte un soldo per comprare una casa. Io tacevo, non volevo rovinare la loro serenità. Poi, tutto cambiò quando Serena, la più giovane, mi disse che voleva vivere da sola. Aveva 24 anni, aveva appena finito l’università e iniziava a lavorare. Pensai che fosse giusto darle quell’appartamento.
Quando ne parlai a Massimo, impallidì. “Ci stai cacciando?” gridò. Giulia non aprì bocca, ma i suoi occhi erano pieni di odio. “Ve l’ho sempre detto, quella casa non è vostra per sempre,” dissi con fermezza. “Avete avuto anni per sistemarvi. Affittate o andate dai genitori di Giulia.” Gli diedi un mese per andarsene, ma quel mese divenne un incubo. Litigavamo ogni giorno—Massimo urlava che gli rovinavo la vita, Giulia accusava me di essere ingiusta. Io resistevo, ma il loro rancore mi consumava.
Finalmente se ne andarono. Io e Serena entrammo nell’appartamento per pulire, ma quello che trovammo fu peggio di ogni incubo. Le pareti erano scrostate, i pavimenti strappati, i lampadari svitati, e perfino il water e la vasca erano stati portati via. Tremando di rabbia, chiamai Massimo: “Come hai potuto farci questo? È una vigliaccata!” Lui rispose gelido: “Non lascerò a Serena un appartamento ristrutturato. Io e Giulia ci abbiamo speso soldi e fatica. Perché dovremmo farle un regalo così?”
Quelle parole mi annientarono. Serena, accanto a me, piangeva in silenzio. A ventiquattro anni, senza soldi per riparare quel disastro, e io, una pensionata, non potevo aiutarla. L’appartamento era inabitabile, mentre Massimo e Giulia sembravano godere della nostra sofferenza. Io gli avevo dato un tetto, e loro mi avevano ripagato con la rovina. Non era solo vendetta—era un tradimento che mai potrò perdonare. Mia figlia rimase senza casa, e io senza fiducia in mio figlio. E ora mi chiedo: dove ho sbagliato, nel crescerlo?