Quando mio padre se n’è andato, la mia matrigna mi ha salvato: Sarò per sempre grato a Dio per la mia seconda madre

La mia vita è una serie di perdite e miracoli che mi hanno insegnato a valorizzare il calore della famiglia e la gentilezza di chi diventa caro non per sangue, ma per amore. Ero un ragazzo solo, senza nulla, ma una donna ha cambiato il mio destino, diventando una seconda madre. Questa è una storia di dolore, speranza e gratitudine per l’amore che mi ha salvato dalla disperazione.

Mi chiamo Matteo Rossi, sono nato in un piccolo paese della Sicilia. Da bambino avevo una famiglia felice: io, mia madre e mio padre. Ma la vita può essere crudele. A sei anni, mia madre si ammalò gravemente e presto morì. Mio padre non resse al dolore e iniziò a bere. La nostra casa si svuotò – il frigorifero era vuoto, andavo a scuola sporco e affamato. Smisi di studiare, evitavo gli amici, e i vicini, vedendomi così, chiamarono i servizi sociali. Volevano togliere a mio padre la patria potestà, ma lui li implorò di dargli un’ultima possibilità. Promise di cambiare. Accettarono, ma lo avvertirono: sarebbero tornati tra un mese.

Dopo quella visita, mio padre si trasformò. Smise di bere, comprò cibo, e insieme ripulimmo la casa. Per la prima volta da mesi, sentii un barlume di speranza. Un giorno disse: «Figlio, voglio presentarti una donna». Ero confuso – aveva dimenticato mia madre? Mi assicurò che l’amava ancora, ma quella donna ci avrebbe aiutati, e i servizi sociali non ci avrebbero più tormentato. Fu così che conobbi zia Lucia. Andammo a trovarla, e mi piacque subito. Aveva un figlio, Luca, due anni più piccolo di me. Diventammo amici in fretta. A casa, dissi a mio padre: «Zia Lucia è buona e bella». Un mese dopo, traslocammo da lei, e affittammo il nostro appartamento.

La vita migliorò. Lucia si prese cura di noi come fossimo suoi figli, e Luca diventò come un fratello. Ricominciai a sorridere, a studiare, a sognare. Ma il destino mi colpì di nuovo: mio padre morì all’improvviso – un infarto. Il mio mondo crollò. Tre giorni dopo, i servizi sociali mi portarono in un orfanotrofio. Ero distrutto, perso, non capivo perché tutto finisse così. Lucia veniva a trovarmi ogni settimana, portava dolci, mi abbracciava, prometteva di riportarmi a casa. Stava completando le pratiche, ma ci voleva tempo. Perdevo la speranza, convinto di rimanere per sempre tra quelle mura gelide.

Un giorno mi chiamarono dall’ufficio del direttore. «Matteo, preparati, torni a casa», mi dissero. Non ci credevo. Uscendo, vidi Lucia e Luca. Gli occhi mi si riempirono di lacrime, corsi verso di loro stringendoli forte, come se temessi che sparissero. «Mamma», sussurrai, chiamandola così per la prima volta. «Grazie per avermi ripreso. Farò tutto per non deluderti». Mi accarezzò i capelli, e io piansi di felicità. Ero di nuovo a casa, in una famiglia che era davvero la mia.

Tornai a scuola e ripresi a studiare. Il tempo volò. Mi diplomai, mi iscrissi all’università, trovai un buon lavoro come ingegnere. Con Luca restammo inseparabili, come fratelli anche se non di sangue. Siamo cresciuti, abbiamo avuto figli, ma non dimentichiamo mai Lucia. Ogni fine settimana andiamo da lei. Ci prepara pranzi deliziosi, parliamo per ore, ridiamo. Lucia è amica delle nostre mogli – sono come sorelle. La sua casa è piena di calore, e vedo quanto è felice, circondata da noi.

Ringrazierò sempre Dio per Lucia, la mia seconda madre. Senza di lei, sarei diventato un’altra persona, perso tra le fredde mura dell’orfanotrofio. Mi ha donato non solo una casa, ma una famiglia, amore e fiducia nel bene. Questa storia dimostra che una vera famiglia non è sempre legata dal sangue. Lucia mi ha insegnato che l’amore e le cure possono sanare anche le ferite più profonde, e le sarò per sempre grato per avermi salvato.

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