Storia di un Vecchio Solitario e la Sua Serenità.

Domenico era un vecchio scapolo. Viveva la sua vita senza che la solitudine gli pesasse troppo. Lavorava come un mulo, ma amava il suo mestiere. Era abituato a fare tutto alla perfezione, perché l’ordine regnasse in ogni cosa. E per quante donne avesse incontrato, quella ideale non l’aveva mai trovata. Quell’anno, a fine luglio, Domenico partì per le vacanze, diretto al sud. Era stanco morto e aveva voglia di scappare un po’ dalla civiltà. Si collegò a internet e pubblicò un annuncio.

Rispose una donna con due figli, abitante di un paesino del sud. A venti minuti a piedi dal mare, ma lontano dai resort e dalle città, una stanza in più e, secondo l’accordo, gli avrebbero cucinato roba casalinga in cambio della spesa. Insomma, si lasciò convincere. Arrivò senza intoppi, il navigatore non lo deluse. La casa era vecchia ma pulita, la stanza accogliente e la padrona di casa gentile. In cortile scorrazzava un cagnolino, un volpino. In giardino maturavano i frutti, e i due bambini, un maschietto e una femminuccia di 9-10 anni, davano una mano con le faccende. La padrona non lo disturbava, gli chiedeva solo cosa preparare per cena, lo riempiva di fragole e gli sorrideva dolcemente. Domenico passava le giornate al mare: nuotava, scalava le rocce, scattava foto e scriveva a un vecchio amico su Facebook. A volte si chiedeva come mai una donna di 50 anni avesse figli così piccoli. Ci pensò, ci pensò, e alla fine chiese.

“Anna Maria, questi sono i suoi nipoti?”
“No,” rispose lei, “sono mio figlio e mia figlia, solo che sono nati tardi. Non mi sono mai sposata, ma ho voluto avere dei bambini. E poi, vecchia non sono mica, ho solo 48 anni.”

Mentre parlavano, Domenico la osservò meglio: piacevole, dolce, sorridente. E anche il nome gli piaceva. Anna Maria, Annina. Come si chiamava sua madre. E poi profumava di fragole e burro. Il vino giovane era buono, le serate freschine, il cielo stellato. Nessuno dei due faceva storie, erano adulti. Di giorno si comportavano normalmente, di notte lui sgattaiolava nella stanza di Annina. Poi tornava nella sua. I bambini non andavano svegliati. Il cagnolino non abbaiava mai contro Domenico, lo guardava con aria furbesca, come se capisse. Brava bestiola, tranquilla. Mangiava due cucchiai di pappa ma faceva la guardia con impegno. Si chiamava Lulù. E iniziò ad accompagnare Domenico al mare, nuotava pure lei, poi usciva, si scuoteva, si asciugava al sole e tornava a casa prima di lui. E lui la seguiva. Ma un giorno Lulù non si presentò. Domenico si mise a cercarla, la chiamò, urlò, scrisse una decina di annunci e andò a affiggerli. Dove diavolo era finita? Una vicina anziana gli disse che forse l’avevano presa quelli che affittavano dall’altra parte del paese. Domenico andò lì. Arrivato, gli dissero che erano partiti un’ora prima, con un cagnolino, in direzione della statale. Tornò indietro, salì in macchina e partì a tutta birra. Li raggiunse dopo ottanta chilometri e gli tagliò la strada. Dal SUV scesero due ragazze, giovani e sfacciate.

“Ehi, sposta quella macchina! Non sai guidare? Chiamiamo i carabinieri!”
“Chiamateli,” rispose Domenico, “ma prima restituitemi il cane.”
“Ma fattene una ragione,” rise quella più alta, “era randagio, l’abbiamo salvata noi.”
“Non era randagia,” ribatté Domenico, “ha una famiglia. Non è vostra.”
“Vattene affanculo,” strillò l’altra, “se non ti sposti, ti rompiamo i vetri!”
Domenico le aggirò e chiamò: “Lulù, Lulù!” Il cagnolino iniziò ad abbaiare e a correre sui sedili, cercando di infilarsi dal finestrino socchiuso. Le ragazze lo afferrarono per le braccia, imprecando, cercando di menarlo. Domenico non sapeva cosa fare, era confuso, non poteva mica picchiare delle donne.

Lo salvò un carabiniere arrivato sul posto, grosso, sudato e sbuffante. Si tappava le orecchie dalle urla delle ragazze, ma prese Lulù tra le braccia.
“Tutti zitti. Vediamo con chi va il cane, quello se lo tiene. Documenti non ne ha nessuno.”

“Briciola, Cocò,” si misero a chiamare le ragazze, tirando fuori un po’ di salame, “vieni da noi, salta in macchina!”
“Andiamo a casa, Lulù,” disse Domenico.
Il carabiniere posò il cane per terra. Lulù corse da Domenico, scodinzolando e abbaiando forte.
“Ecco, problem”E così Domenico accarezzò Lulù, sorrise tra sé e pensò che forse, finalmente, aveva trovato la sua casa.”

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