Due settimane a fare la nonna e al posto di ringraziamenti arriva una lite: mia nuora dice che sbaglio tutto

Eh, allora, ti racconto com’è andata. Due settimane che ho tenuto il nipotino, e invece di un grazie, mi ritrovo con una litigata – la nuora mi ha detto che ho sbagliato tutto.

Tutto è iniziato una sera tardi. Erano già le dieci passate quando è squillato il telefono. Sullo schermo c’era mio figlio, con la voce che tremava: “Mamma, hanno portato Viola al pronto soccorso. Ha dei dolori fortissimi, i medici hanno deciso di non rischiare. Io vado con lei in ospedale, ma non ho nessuno a cui lasciare Gianluca. Solo tu puoi aiutarmi…” Mezz’ora dopo, mio figlio era sulla soglia di casa con la borsa del bimbo, le valigette e Gianluca, di un anno e mezzo. Aveva gli occhi pieni di paura e una supplica silenziosa. Ovviamente non ho potuto dire di no, anche se con Viola, sua moglie, i rapporti sono sempre stati – come dire – un po’ freddini.

Da quando è nato Gianluca, mi hanno tenuta ai margini della loro vita. Quante volte mi sono offerta di dare una mano – a cucinare, a badare al piccolo, a farli riposare un po’ – e ogni volta la risposta era: “Grazie, ce la caviamo da soli”. Non ho insistito, ma mi faceva male il cuore. Sono una nonna, voglio essere presente! L’ultima volta che ho visto Gianluca era primavera. Poi Viola si è chiusa ancora di più. Con la pandemia, è partita la paranoia totale: tutto disinfettato con l’Amuchina, le porte aperte col gomito, figuriamoci gli ospiti.

E invece, quando è scoppiato il casino, alla fine mi hanno fatto entrare. Mio figlio mi ha lasciato un arsenale: vasetti, creme, istruzioni, vestiti di ricambio, perfino una palla da ginnastica. “Viola lo culla solo così, altrimenti non si addormenta”, mi ha spiegato in fretta. Ho annuito, ma dentro pensavo: “Ma dai, basta con ste cose. Un bambino deve imparare ad addormentarsi da solo”. Dopo averlo mandato in ospedale, ho chiamato al lavoro e ho preso due settimane di ferie. Non è la prima volta che affronto un pasticcio del genere.

La prima notte è stata un disastro. Il piccolo urlava così forte che i vicini sono venuti a chiedere se andasse tutto bene. Mi sono scusata e ho spiegato la situazione. Hanno alzato le spalle e sono andati via. Ma già alla terza notte, Gianluca si addormentava più in fretta. Gli accarezzavo la schiena piano piano, con un ritmo tranquillo, e si calmava sotto le mie mani come se fosse una ninna nanna.

Dopo cinque giorni, Viola ha chiamato. Voleva sapere cosa gli davo da mangiare, come dormiva, persino il colore della pupù. Ho risposto con calma a tutto. Le ho detto che andava bene, che mangiava tranquillo le mie pappe fatte in casa – io le preparo da me, non mi fido dei vasetti del supermercato. Lei è rimasta zitta. Non credeva che il piccolo potesse addormentarsi senza la palla, senza tutti quei rituali.

Sono passate due settimane. Ho vissuto solo per quel bambino, gli ho dato tutta l’amore che avevo. Le mie mani si erano ricordate come tenere un neonato, il mio cuore batteva al ritmo del suo respiro. Ero stanca, certo. Ma felice. Finalmente mi sentivo una nonna.

Quando Viola è stata dimessa, le ho consegnato Gianluca e ho sistemato tutte le sue cose. Nessun grazie, nessun sorriso. Solo uno sguardo gelido e una frase: “Ha sbagliato tutto.”
“Scusa?” ho detto, senza capire.
“Ha rotto la routine. Adesso piange di notte, e le sue pappe gli hanno fatto venire l’allergia. Non ci ha ascoltati. Le avevo detto di seguire le istruzioni. Perché non l’ha fatto?”

Sono rimasta senza parole. Due settimane senza una lamentela, e ora mi ritrovo con queste accuse. Invece di un grazie, una scenata. Mi è dispiaciuto tantissimo. Non mi sono intromessa, li ho aiutati nel momento del bisogno, e tutto quello che ho ricevuto è stato: “Hai rovinato tutto”.

Adesso non posso più vedere il nipotino. Viola ha detto che non si fida di me. Gianluca lo vedo solo nelle foto che mio figlio mette sui social. Lui non dice niente, non interviene. E io non insisto. Ma dentro, mi sento a pezzi.

Non credo di aver sbagliato. Ho cresciuto mio figlio senza tutte queste palline e rituali, ed è diventato una brava persona. Qui invece è tutto un programma: pappe pesate al grammo, pannolini a orario, tutto come disse il manuale. Ma dov’è l’amore, in tutto questo?

Non so chi abbia ragione e chi torto. So solo una cosa: sono una nonna, e amo mio nipote. E se un giorno mi chiameranno di nuovo per chiedermi aiuto, aprirò la porta senza esitare. Ma il dolore per questa mancanza di riconoscenza, per questo gelo… quello rimarrà dentro di me per sempre.

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