Mi ha definita solo una parrucchiera davanti ai suoi amici. Gli ho fatto provare cosa significa essere umiliato.

Mi chiamò semplicemente “parrucchiera” davanti ai suoi amici. Io gli feci provare sulla sua pelle cosa si sente a essere umiliati.

A diciassette anni, capii presto che dovevo contare solo su me stessa. Mio padre se n’era andato all’estero quando mia madre si ammalò gravemente. Io, la maggiore, mi presi tutto sulle spalle. Trovai lavoro come assistente in un salone di bellezza lì vicino. Lavavo i capelli, spazzavo per terra, portavo il caffè. Niente di che, ma col tempo diventò la mia vita.

Crescendo, migliorai anche professionalmente. Studiai dai migliori, misi tutto me stessa in quel lavoro, e dopo qualche anno avevo già una clientela fissa: signore importanti, donne d’affari, attrici, mogli di politici. Ero quella che dovevi prenotare con due settimane d’anticipo.

Poi arrivò lui, Federico. Ci conoscemmo al festival jazz di Roma. Lui, laureato in legge alla Sorbona, io, ragazza di periferia che si faceva strada dal niente. Eravamo mondi opposti, eppure scoccò la scintilla. All’inizio non notavo il modo in cui annuiva con sufficienza quando parlavo del mio lavoro. O come sorrideva ironicamente se qualcuno chiedeva cosa facessi. Ma tutto peggiorò dopo il fidanzamento.

Fede iniziò a lanciare frasi come: “Ma tu sei solo una parrucchiera, cara” o “Queste conversazioni non fanno per te”. Non lo diceva con cattiveria, anzi, sembrava quasi scherzare. Ma quelle risate mi stringevano lo stomaco. In pubblico, evitava persino di menzionare il mio mestiere, come se si vergognasse.

Il culmine arrivò durante una cena con i suoi amici. Tutta gente dell’alta società: avvocati, professori, banchieri. Io stavo zitta, ascoltando i loro discorsi su riforme legali e accordi internazionali. A un certo punto, qualcuno mi rivolse la parola, e prima che potessi rispondere, Federico interruppe:

“Non la impegnate con queste cose, è solo una parrucchiera. Vero, amore?”

Mi gelai. Avrei voluto sparire. In quel momento, qualcosa dentro di me si spezzò.

Il giorno dopo, senza che lui se ne accorgesse, mi misi all’opera.

Una settimana dopo, invitai Federico a una “festicciola tra ragazze”, dicendo che volevo presentargli le mie amiche. Lui accettò, ovviamente. Ma non sapeva chi ci sarebbe stato.

Quella sera, nel mio appartamento, c’erano le mie clienti più importanti: la direttrice di un canale televisivo, la proprietaria di una catena di negozi, un’attrice famosa e — sorpresa — la sua capa, la signora Bianchi. Non la riconobbe subito, ma quando capì, sbiancò. Con ogni elogio sul mio lavoro, con ogni sincero ringraziamento di quelle donne, la sua faccia diventava sempre più rigida. Scoprì per la prima volta che non mi limitavo a tagliare e pettinare, ma ridavo sicurezza, sostegno e ispirazione.

Quando si avvicinò alla signora Bianchi e cercò di parlare di sé, lei sorpresa rispose:

“Oh, sei tu il fidanzato di Giulia? Lei mi ha salvato più volte prima delle dirette. Una vera professionista!”

Non resistetti. Mi avvicinai e dissi:

“Sì, è Federico. Odia la politica, ma adora parlare di parrucchiere.”

Federico mi trascinò in cucina:

“Stai scherzando?! È umiliante!” sibilò.

“Esattamente come mi sono sentita io quella sera con i tuoi amici, quando hai deciso di farmi passare per stupida. Non è vendetta. È uno specchio, Federico.”

Lui rimase in silenzio.

Qualche giorno dopo mi chiamò. Si scusò. Disse di aver capito tutto. Chiese di ricominciare.

Ma la mia decisione era già presa.

Gli restituii l’anello. Non perché non lo amassi. Ma perché avevo capito di non dover stare con qualcuno che si vergognava di me.

Non sono solo una parrucchiera. Sono una donna che ha lottato. E merito rispetto.

Lui… forse un giorno capirà chi ha perso.

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