L’avidità mascherata da cura spesso si rivela un tradimento. Se qualcuno crede che i legami di sangue siano garanzia di amore e fedeltà, questa storia sarà un brusco risveglio.
Grazia Rossi è sempre stata una donna modesta e gentile. Nella vita le è toccato molto: rimasta vedova presto, ha cresciuto da sola due figli, la figlia Ludovica e il figlio Matteo. Lavorava come infermiera in ospedale, senza mai lamentarsi o chiedere aiuto. Ha dato tutto ai suoi figli, convinta che avrebbero reso la sua vecchiaia serena.
A 73 anni, la salute di Grazia cominciò a vacillare. Il cuore non reggeva, le gambe cedevano, la pressione ballava. Ludovica propose alla madre di vendere la vecchia casa in campagna e trasferirsi da lei in città.
“Mamma, non puoi restare sola laggiù. Da noi c’è caldo, i nipoti ti vedranno ogni giorno,” la convinse, con un sorriso forzato.
Grazia ci credette. Vendette la casa, diede i soldi a Ludovica — per la ristrutturazione, per un “futuro insieme”. E si trasferì.
Le prime settimane sembrarono una favola: la comodità, i nipoti, le cene in famiglia. Ma presto Ludovica trovò insopportabile tutto: l’odore della vecchiaia, i consigli, le richieste di abbassare la televisione. Ogni parola di Grazia diventò un’invasione.
“Mamma, devi capire che sei anziana. Hai bisogno di cure. Ho trovato una buona casa di riposo. Ci sono medici, cure, passeggiate… nessuno si arrabbierà con te.”
E così portarono la madre nella casa di riposo. Senza lacrime, senza spiegazioni. La registrarono come soggiorno temporaneo — e non tornarono più.
Ma Grazia aveva un altro figlio, Matteo. Viveva in un’altra città, veniva raramente, ma lei ne parlava sempre con affetto: “Matteo ha un cuore grande. Non mi dimenticherà.” E non si sbagliava.
Un giorno Matteo arrivò senza preavviso — voleva farle una sorpresa. Ma a casa non trovò la madre. I vicini gli raccontarono tutto: come l’avevano portata via, come avevano venduto la casa, come Ludovica aveva gestito i soldi.
Matteo corse alla casa di riposo. Vide sua madre, una donna un tempo vivace, ora curva su una panchina, lo sguardo vuoto. Il cuore gli si strinse.
“Mamma… come hai potuto meritarti questo?” cadde in ginocchio davanti a lei.
Piansero. Lei per il dolore e la vergogna. Lui per la colpa e la rabbia. E Matteo decise: l’avrebbe portata via da quel luogo.
Un mese dopo, Grazia entrò in una casa nuova — una villetta pulita e calda alla periferia della città. Era modesta ma accogliente. Profumava di torta di mele e aria fresca. In giardino c’erano fiori, e dalle tende sulla veranda filtrava il sole.
“Mamma, questa è casa tua. Ora sei la padrona. E noi siamo qui con te.”
La moglie di Matteo abbracciò la suocera e le disse: “Per noi sei come una seconda madre. Ci prenderemo cura di te.”
Tutto sarebbe andato bene, se non fosse arrivata Ludovica. Era tornata alla casa di riposo per prendere la “miserabile pensione” della madre, come la chiamava, con la scusa delle “difficoltà”.
Ma le dissero che Grazia non c’era più. Impanita, scoprì il nuovo indirizzo e arrivò con lacrime finte e lamenti:
“Mamma, stiamo male. Non abbiamo soldi. Mio marito rischia il licenziamento. Tu sei pur sempre mia madre…”
Ma non trovò lo sguardo fragile della vecchia, bensì la voce decisa del fratello:
“Ludovica, non provare nemmeno a tornare. La casa è mia. Mamma vivrà qui. Se stai male, torna in campagna e ricomincia da zero. Se vuoi aiuto, iscriviti in una casa di riposo, lì, come dicevi, c’è cura e assistenza.”
“Come ti permetti! Io sono sua figlia!”
“Tu? Quella che l’ha abbandonata quando ne aveva più bisogno? Non avvicinarti più. Se ti rivedo qui, te ne pentirai.”
Ludovica se ne andò. Senza lacrime. Senza rimorsi. Solo con uno sguardo pieno di odio.
Quella sera Grazia sedeva sulla poltrona vicino alla finestra, una tazza di tè tra le mani, e per la prima volta in anni sentiva di non essere un peso. Sentiva di essere amata.
Matteo si avvicinò, le coprì le spalle con una coperta e le baciò la testa:
“Va tutto bene, mamma. Ora sarà diverso. Te lo prometto.”