Sogno Rimandato: Tradimento e Liberazione

Fin da quando aveva memoria, Beatrice sognava un viaggio in Grecia. Immaginava di perdersi tra le strade antiche di Atene, di ammirare il tramonto sulle scogliere bianche di Santorini, dove i raggi dorati del sole accarezzavano le rocce candide. Quel viaggio era il suo desiderio più profondo, la ricompensa per anni di lavoro, un sospirato respiro di libertà dalla monotonia della vita quotidiana in un paesino sulle rive del Po. Ma ogni volta che Beatrice ne parlava, suo marito Enrico trovava una scusa per rimandare.

«L’estate prossima, Bice, lo facciamo davvero», ripeteva anno dopo anno, con parole vuote come un’eco svanita. «Dobbiamo finire i lavori in casa, estinguere il mutuo, mettere da parte qualche soldo». All’inizio, lei gli aveva creduto. Aveva condiviso quel sogno fin dai primi giorni del loro matrimonio, e Enrico le aveva assicurato che un giorno vi sarebbero andati insieme. Aveva iniziato a risparmiare, mettendo da parte ogni euro con cura, nutrendo la speranza che un giorno avrebbero calpestato insieme la terra greca. Ma gli anni passavano, e «l’estate prossima» diventava una scusa senza fine. Ora il lavoro la assorbiva completamente, ora si rompeva la lavatrice, ora i risparmi erano insufficienti. Beatrice si convinceva che era solo questione di tempo—prima o poi sarebbero partiti.

A sessant’anni, Beatrice aveva messo da parte abbastanza per un viaggio di due settimane in tutto lusso: biglietti in business class, hotel con vista sul mare, visite guidate tra i siti storici. Ne parlò di nuovo, gli occhi accesi dall’anticipazione. Ma Enrico, senza alzare lo sguardo dallo schermo del telefono, rise: «La Grecia? Alla tua età? Che ci vai a fare? A sgambettare tra le rovine in costume da bagno? Non sei più una ragazzina, Bice». Le sue parole la colpirono come una frustata. Beatrice rimase senza fiato dal dolore. Dopo anni di attese, speranze e fiducia che condividessero quel sogno, capì: a Enrico non era mai importato del suo desiderio. Per lui era stata solo una sciocca fantasia, indegna di tempo e denaro.

In quel momento, qualcosa dentro di lei si ruppe. Anni di pazienza, compromessi, illusioni crollarono come un castello di sabbia travolto dalle onde. Il giorno dopo, mentre Enrico era al lavoro, Beatrice prese la sua decisione. Prenotò il viaggio—due settimane in Grecia, solo per sé. Basta aspettare, basta chiedere il permesso. Preparò la valigia, lasciò un biglietto: «Buona pesca, Enrico. Pagherai tu la bolletta», e partì per l’aeroporto.

Quando scese dall’aereo ad Atene, le sembrò che dalle spalle fosse caduto un peso insostenibile. Inspirò l’aria calda, intrisa dell’odore di ulivi, e per la prima volta dopo anni si sentì libera. Passeggiando tra le rovine del Partenone, in piedi sulle scogliere di Mykonos, capì che aveva rimandato la vita troppo a lungo per le priorità altrui. E sì, indossò proprio quel costume da bagno—con orgoglio, senza curarsi degli sguardi. Era il suo momento, la sua vita.

Una sera a Santorini, cenando in un ristorante affacciato sul mare, Beatrice conobbe Lorenzo. Chiacchierarono, risero, si scambiarono storie. All’improvviso, Beatrice si accorse di quanto le fosse mancato tutto questo—sentirsi vista, ascoltata. Per Lorenzo non era «troppo vecchia»—era una donna piena di vita, pronta per nuovi orizzonti. Trascorsero insieme il resto del viaggio, esplorando i vicoli di Mykonos assaggiando il vino locale e creando ricordi che avrebbe custodito per sempre.

Tornata a casa, scoprì che Enrico se n’era andato. Aveva lasciato un biglietto: «Sono andato a vivere da mio fratello». Ma invece di dolore o paura della solitudine, Beatrice provò sollievo. Non doveva più aspettare un uomo che non aveva mai valorizzato né i suoi sogni né la sua felicità. Passati i mesi, continuava a scrivere a Lorenzo, e il suo cuore batteva all’idea di nuove avventure. Per la prima volta dopo tanto tempo, Beatrice non aspettava che qualcun altro realizzasse i suoi desideri—li viveva.

Beatrice sedeva sul balcone di casa, osservando il fiume tranquillo oltre la finestra. Ripensava a quel giorno, tanti anni prima, in cui aveva raccontato per la prima volta a Enrico del suo sogno. Lui le aveva sorriso, l’aveva abbracciata e promesso: «Ci andremo, assolutamente». Ma quelle parole erano svanite tra le preoccupazioni quotidiane, nel suo disinteresse. Ogni volta che riportava il discorso sulla Grecia, lui la liquidava, come se fosse un capriccio infantile. Beatrice aveva sopportato, sperato, si era convinta che sarebbe cambiato. Ma le sue ultime parole—«non sei più una ragazzina»—erano state la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Non avevano solo ferito il suo orgoglio, avevano distrutto la sua fede in quel legame.

Decidere di partire da sola non era stato facile. Beatrice aveva passato la notte insonne, immaginando la rabbia di Enrico, le accuse di egoismo. Ma al mattino aveva capito: la sua vita era sua, e non avrebbe più permesso a nessuno di rubarle i sogni. Prenotando i biglietti, aveva sentito la paura trasformarsi in determinazione. Quando l’aereo aveva spiccato il volo, per la prima volta dopo anni aveva sorriso davvero—non per qualcun altro, ma per sé stessa.

In Grecia aveva scoperto una donna che aveva dimenticato da tempo. Aveva ballato per le strade di Atene, assaggiato l’ouzo su una terrazza affacciata sul mare, riso fino alle lacrime per le battute di Lorenzo. Lui era più grande di lei, ma nei suoi occhi ardeva la stessa voglia di vivere, che gli anni non avevano spento. «Sei straordinaria», le aveva detto una volta. «Come hai potuto nasconderti così aE quella sera, guardando il tramonto tingere il fiume di rosso, Beatrice capì finalmente che la vera libertà non era scappare da qualcosa, ma correre incontro a se stessa.

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