L’appartamento e le lagnanze di mio marito
Ho il mio piccolo appartamento – accogliente, con fiori sul davanzale e una vecchia poltrona che adoro. Dopo il matrimonio, io e Daniele abbiamo deciso di vivere qui, e pensavo che sarebbe stato il nostro piccolo paradiso. Ma non sono passati neanche due mesi che mio marito ha iniziato a lamentarsi che gli è troppo lontano andare al lavoro. All’inizio credevo fosse solo stanchezza, ma ora questi piagnistei sono quotidiani, e non so più come reagire. Devo cedere e traslocare, o restare ferma sulle mie posizioni perché questa è casa mia, il mio castello? Una cosa è certa: il suo brontolio comincia a starmi sui nervi, e temo che sia solo l’inizio dei guai.
Io e Daniele ci siamo sposati sei mesi fa. Prima delle nozze, lui viveva coi genitori all’altro capo della città, mentre io stavo nel mio monolocale, comprato con l’aiuto dei miei e di un mutuo. Non è grande, ma per due va benissimo. Ci ho messo l’anima: pareti dipinte di un caldo beige, tende scelte con cura, scaffali pieni di libri. Quando abbiamo discusso dove vivere dopo il matrimonio, ho proposto il mio appartamento. Daniele ha detto: “Beatrice, è più centrale, e poi avere casa propria è una gran cosa”. Ero felice, immaginavo cene cucinate insieme, film visti sul divano, progetti fatti a quattro mani. Peccato che i miei sogni fossero troppo rosei.
Le prime settimane sono filate lisce. Daniele mi aiutava con qualche lavoretto, abbiamo comprato un divano nuovo, e scherzavamo sul nostro “nido d’amore”. Poi ha iniziato a tornare dal lavoro con la faccia più scura di un temporale. “Beatrice”, dice, “oggi ci ho messo un’ora e mezza, il traffico era infernale”. Il suo ufficio è in periferia, e da casa nostra ci vuole almeno un’ora, se non di più con le code. Lo ascoltavo, gli suggerivo di partire prima o di provare strade alternative. Ma niente lo accontentava. “Non capisci”, borbottava, “perdo tre ore al giorno in macchina. Non è vita”.
Cercavo di essere comprensiva. Gli dicevo: “Daniele, pensiamo a come renderti il viaggio meno pesante. Magari cambiamo auto o proviamo il car sharing?”. Lui scrollava le spalle: “L’auto non c’entra, Beatrice. Dovremmo vivere più vicino al lavoro”. Vicino? Cioè, proponeva di trasferirci? Gliel’ho chiesto chiaramente, e lui ha annuito: “Be’, sì, sarebbe più comodo affittare qualcosa dalle mie parti”. Ho quasi sputato il caffè. Affittare? E il mio appartamento? La mia casa, per cui ho pagato il mutuo cinque anni, che ho sistemato con tanto amore? Lasciare tutto e trasferirmi dall’altro lato della città solo perché a lui dà fastidio il traffico?
Ho provato a spiegargli che per me questa casa non è solo quattro mura. È il mio primo traguardo, la mia indipendenza. Ne vado fiera, anche se è piccola e non è in un quartiere chic. Ma Daniele mi guardava come se fossi una bambina e diceva: “Beatrice, è solo un appartamento. Possiamo metterlo in affitto e vivere dove mi è più comodo”. Comodo a lui! E io? Io ci metto venti minuti a piedi per andare in ufficio. E adoro questo quartiere: il parco dove passeggio, il bar dove prendo il caffè con le amiche, la vicina che mi porta i dolci. Perché dovrei rinunciarci?
La situazione peggiora giorno dopo giorno. Ora Daniele si lamenta non solo del traffico, ma di tutto. Lo spazio è stretto, i vicini fanno rumore, “qui sa di casa vecchia”. Vecchia? È un palazzo degli anni ’80, e ho appena rifatto tutto! Comincio a pensare che il problema non sia solo il tragitto. Forse non gli piace vivere a casa *mia*, perché è *mia*. Una volta gli ho chiesto: “Daniele, se vivessimo dai tuoi, ti lamenteresti lo stesso?”. Si è agitato, poi ha brontolato: “Lì è lontano, ma almeno c’è più spazio”. Spazio? Quindi il mio monolocale non va bene?
Ho parlato con mia madre, sperando in un consiglio. Mi ha ascoltato e ha detto: “Beatrice, il matrimonio è compromesso. Se per lui è così difficile, trovate una via di mezzo”. Ma quale via di mezzo? Affittare casa mia e trasferirci dove comoda a lui? O restare qui a sentirlo brontolare? Ho proposto un’alternativa: che Daniele cerchi lavoro più vicino. È un ingegnere, le offerte non mancano. Ma lui ha sbuffato: “Ma che dici, sono in questa azienda da dieci anni, mica posso mollare tutto”. E io invece dovrei mollare la mia casa?
Ora mi sento in trappola. Una parte di me vuole rimanere ferma: è casa mia, ho il diritto di vivere dove mi sento bene. Ma l’altra parte teme che questo rovini il nostro matrimonio. Amo Daniele, non voglio litigare, ma le sue lamentele mi fanno impazzire. Comincio a sentirmi in colpa, come se fossi io a farlo soffrire. Ma poi penso: perché devo essere sempre io a sacrificarmi? Lui sapeva dove saremmo vissuti quando ha accettato. Perché ora devo cambiare tutto?
Mi sono data tempo fino alla fine del mese per decidere. Forse potremmo affittare qualcosa a metà strada tra il suo ufficio e il mio? Ma l’idea di lasciare casa mia vuota o con degli sconosciuti mi spezza il cuore. O magari Daniele si sveglierà e smetterà di brontolare? Non lo so. Per ora cerco solo di non esplodere quando riattacca il disco sulle code. Ma una cosa è certa: questa è casa mia, e non voglio perderla. Nemmeno per amore. O forse, l’amore vero è proprio quando non ti fanno scegliere?