Ora mi trovo nei guai: sono diventata schiava della famiglia di mio marito

Oggi voglio raccontare la mia storia, una storia che mi ha portata in un baratro insospettabile. Sono diventata una schiava nella famiglia di mio marito.

In un remoto paesino tra le colline della Sicilia, dove l’aria profuma di zagara e di campi di grano, la mia vita, iniziata con l’amore, si è trasformata in una prigione. Mi chiamo Giulia, ho 28 anni, e tre anni fa ho sposato Marco. Credevo di aver trovato una famiglia, ma sono finita a servire come una moderna Cenerentola: una domestica per mio marito, i suoi genitori e tutta la parentela. La mia anima grida disperata, e non so come uscire da questa trappola.

L’amore che acceca

Quando ho conosciuto Marco, avevo 25 anni. Veniva da un paese vicino – alto, con un sorriso semplice e occhi che sembravano promettere calore. Ci siamo incontrati alla sagra del paese, e la sua schiettezza mi ha conquistata. Parlava di famiglia, di bambini, di una vita dove tutti si sarebbero aiutati. Io, ragazza di città, sognavo quel calore. Dopo un anno ci siamo sposati, e mi sono trasferita da lui. Non sapevo che sarebbe stata la mia condanna a vita.

Marco viveva con i genitori, Rosaria e Salvatore, in una grande casa. Suo fratello maggiore con la moglie e una marea di parenti erano ospiti fissi. Pensavo di diventare parte di quella famiglia. Ma fin dal primo giorno ho capito: non volevano una figlia, ma una serva. “Sei giovane e forte, occupati tu di tutto”, mi ha detto mia suocera. Io, ingenua, ho annuito senza capire in che guaio mi stavo cacciando.

Schiavitù invece di famiglia

La mia vita è diventata un ciclo senza fine di lavoro. Mi alzo alle cinque per preparare la colazione per tutti. Mio suocero vuole la pasta al forno, mia suocera la frittata, Marco il caffè e i biscotti. Poi pulizie, lavare i pavimenti, fare la spesa. A mezzogiorno arrivano i parenti, e devo cucinare per un esercito: pasta al sugo, polpette, insalata. La sera, ancora piatti e pentole, e la notte crollo esausta. Tutto questo ogni giorno, senza riposo, senza un attimo per me.

Rosaria comanda come un sergente: “Giulia, hai tagliato male le melanzane”, “Giulia, hai stirato male le camicie”. Salvatore non parla, ma il suo sguardo dice: “Tu qui non conti nulla”. I parenti di Marco nemmeno salutano quando entrano – si siedono e aspettano che li serva. Marco, mio marito, invece di difendermi, ripete: “Dai, non contraddire mia madre, lei sa come si fa”. Il suo silenzio è una pugnalata. Credevo sarebbe stato il mio rifugio, e invece è parte di questa prigione dove io sono solo una serva.

Il momento del crollo

L’altro giorno ho perso le staffe. Dopo l’ennesimo commento di Rosaria sul mio ragù e i piatti lasciati sporchi dai parenti, ho urlato: “Non sono la vostra serva! Sono una persona!” Tutti sono rimasti a bocca aperta, e mia suocera ha risposto gelida: “Se non ti va bene, torna in città. Qui si lavora.” Marco non ha detto una parola, e questo mi ha spezzato il cuore. Sono scappata in cortile, piangendo, e ho capito: sono in trappola. Non posso andarmene – non ho una casa in città, e mia madre vive lontano. Ma restare qui significa morire poco a poco.

Ho iniziato a notare che anche il mio aspetto è cambiato. Ero sempre curata, piena di vita, ora sembro invecchiata di vent’anni. La mia amica Lucia, vedendomi, ha esclamato: “Dio mio, Giulia, sembri una vecchia! Scappa da qui!” Ma come posso farlo, se amo ancora Marco? O forse no? Il suo silenzio, la sua indifferenza, hanno ucciso l’amore che mi aveva portata all’altare. Mi sento affogare, e nessuno mi tende una mano.

Il piano segreto

Ho iniziato a sognare la fuga. Di nascosto, metto da parte qualche euro, quando riesco a risparmiare sulla spesa. Voglio trovare un affitto in città e lasciarmi tutto questo dietro. Ma ho paura: cosa dirà mia madre, che era così felice del mio matrimonio? E Marco? E poi, riuscirò a farcela da sola? Temo anche che Rosaria e i parenti faranno di tutto per rovinare la mia reputazione. Qui hanno tutto il potere.

Ma ieri, mentre cucinavo e sentivo le solite critiche, mi sono promessa: scapperò. Non sono Cenerentola, non sono una schiava. Sono giovane, ho ancora forza, e troverò un modo. Forse inizierò a lavorare da casa, come Lucia, o tornerò al mio sogno di aprire una piccola bottega di fiori. Ma non resterò qui, dove la mia vita è solo pentole e ordini.

Il grido di libertà

Questa storia è la mia richiesta d’aiuto. Sono finita in trappola sposando un uomo la cui famiglia vede in me solo una serva. Rosaria, Salvatore, i parenti – per loro devo solo lavorare. Ma non ce la faccio più. Marco, che amavo, è diventato il mio carceriere, e questo mi uccide. Non so come andarmene, ma so che devo farlo. A 28 anni voglio vivere, non sopravvivere. Forse la mia fuga sarà la mia salvezza. O la mia fine.

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