Cucina Condivisa e La Nuora Pigra

Cucina condivisa e la pigra cognata

Oggi è uno di quei giorni in cui mi chiedo perché diavolo abbiamo deciso di vivere così. Io e Antonio abitiamo nella sua casa – beh, non proprio solo sua. Qui ci vivono anche suo fratello minore, Luca, e sua moglie, Chiara. Abbiamo una cucina in comune, compriamo la spesa insieme, cuciniamo a turno e dividiamo le bollette a metà. Sembra la perfetta convivenza, no? Peccato che Chiara, la nostra amatissima cognata, abbia deciso che le faccende domestiche non la riguardano. Non lava un piatto, non sbuccia una patata, e io sono sul punto di piazzarle una scopa in mano e dirle: “Benvenuta nel mondo reale!” Per ora mi trattengo, anche se la mia pazienza si scioglie più in fretta del burro in padella.

La casa è stata ereditata da Antonio e Luca dai genitori, e quando ci siamo sposati abbiamo deciso di vivere tutti insieme – più economico, e poi la casa è grande, c’è spazio per tutti. Io non ero contraria: Luca è un ragazzo tranquillo, lavora in un’officina ed è quasi sempre fuori casa. Ma Chiara… quella è un’altra storia. Quando si sono sposati, pensavo fosse solo timidezza, che non volesse immischiarsi nelle faccende di casa. Ma dopo sei mesi ho capito: la timidezza non c’entra. Chiara è una campionessa nell’evitare qualsiasi lavoro. Può starsene ore in camera sua a scrollare il telefono o a farsi le unghie mentre io in cucina preparo la cena per quattro.

Il nostro sistema è semplice: la spesa è in comune, si cucina a rotazione. Io e Antonio copriamo metà della settimana, Luca ogni tanto fa una grigliata o i suoi panini speciali, e Chiara… beh, il suo turno è quando ordina una pizza o mette in tavola uno yogurt con scritto “cena pronta”. E va bene se non le piace cucinare, ma non lava nemmeno i suoi piatti! Una volta ho contato: in una settimana lavo una montagna di stoviglie, metà delle quali sono le sue tazze di caffellatte mezzo bevute. E quando le chiedo di sistemare, mi guarda come se fossi un alieno e dice: “Eh, Silvia, ho dimenticato, domani lo faccio”. Domani? Quel domani non arriva mai!

Ho provato a parlarne con Antonio. “Anto,” gli dico, “tua cognata ci tratta come domestici. Forse Luca potrebbe dirle qualcosa?” Lui ride e mi risponde: “Silvia, non esagerare, Chiara non è abituata a queste cose. È cresciuta in città, sua madre faceva tutto.” In città? E io allora, sono scappata da una fattoria? Anch’io sono cresciuta in città, ma questo non mi impedisce di sbucciare le patate o lavare il pavimento. Luca, quando gliel’ho accennato, ha scrollato le spalle: “Chiara è fatta così. Se non vuole cucinare, non obbligarla.” Non obbligarla? E allora chi sfamerà questa brigata se anche io comincio a “non volere”?

L’altro giorno è successo ciò che mi ha fatto perdere le staffe. Stavo preparando un risotto alla milanese – quello vero, con lo zafferano, come piace ad Antonio. Sono stata due ore ai fornelli, ho apparecchiato e ho chiamato tutti. Chiara scende, si serve una montagna di riso e commenta: “Silvia, ma perché è così asciutto? Dovevi mettere più burro.” Ho quasi lasciato cadere la forchetta. Asciutto? Sono rimasta due ore ai fornelli per sentirmi dire che il mio risotto “non è buono”? E non ha nemmeno detto grazie: ha mangiato e se n’è andata, lasciando il piatto sporco sul tavolo. Sono esplosa e le ho detto: “Chiara, se non ti piace, cucina tu.” Lei ha solo sbuffato: “Ma io non so fare niente, Silvia, tu sei più brava.” Più brava? Quindi ora sono ufficialmente la chef di questa casa?

Ho cominciato a pensare a come risolvere la situazione. Primo: fare sciopero. Smettere di cucinare, pulire, fare la spesa. Vediamo come canterà Chiara quando in frigo troverà solo il suo yogurt. Ma so che Antonio e Luca cominceranno a lamentarsi, e non voglio litigare con mio marito per colpa sua. Secondo: parlarle chiaro. Dirle: “Chiara, qui non siamo in un hotel, o collabori o mangi al ristorante.” Ma ho paura che faccia finta di non capire o che si metta a piangere con Luca, che poi darà la colpa a me. Terzo: rassegnarmi. Ma non è nella mia natura. Non intendo fare la serva nella mia stessa casa.

A volte sogno di andare a vivere in un appartamento solo io e Antonio. Ma questa casa è l’eredità di Antonio, ci tiene, e anche io mi sono affezionata: c’è il giardino, la veranda, è accogliente. Non voglio rinunciarci per colpa di Chiara. Ho anche provato a essere furba: ho suggerito di dividere la cucina in “zone di responsabilità”. Ognuno si occupa dei suoi piatti e della sua spesa. Lei ha annuito e ha continuato a bere il caffè nella mia tazza. Sembra proprio impossibile smuoverla.

La mia amica, quando mi sono sfogata, mi ha consigliato: “Silvia, dille di preparare la cena il mercoledì, punto.” Ci ho provato. Le ho assegnato il giorno, e lei: “Eh, Silvia, mercoledì sono impegnata, puoi farlo tu?” Impegnata? A guardare i social? Sono sul punto di appendere in cucina un calendario con scritto: “Chiara, il tuo turno – o pizza o digiuno.” Forse quello la farà reagire.

Per ora cerco solo di non esplodere. Cucino, pulisco, ma ogni volta che vedo la sua tazza sporca, immagino di consegnarle una medaglia per “maestra dell’ozio”. Antonio promette di parlare con Luca, ma non credo servirà a molto. Chiara è come un gatto che fa quello che vuole, solo che mangia dalla mia ciotola. Ma troverò il modo di metterla in riga. Questa casa è nostra, e non permetterò che una cognata pigra la trasformi nel suo personalissimo resort. Intanto, sogno il giorno in cui laverà almeno una volta il suo piatto. I sogni a volte si avverano, no?

*Diario di un uomo che ha capito una cosa: la pazienza è una virtù, ma anche la più robusta delle corde prima o poi si spezza.*

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