«Pensavo che non saresti venuto…» – la storia di un ritorno
Quando Andrea tornò a casa dal lavoro, gettò la borsa a terra, si tolse le scarpe e andò in cucina:
«Cosa c’è per cena?» chiese, come al solito.
Paolina non si girò nemmeno.
«Niente. Ma non importa. Oggi ho parlato con la padrona di casa. Le ho detto che ce ne andiamo alla fine del mese.»
Andrea rimase immobile.
«Cosa? Avevamo detto che non avevamo ancora trovato un altro posto.»
«E perché cercare?» si voltò verso di lui con un sorriso. «Traslocheremo… da tua ex moglie, Irene.»
Lui cadde su una sedia, sbalordito.
«Paolina, sei fuori di testa?»
«Assolutamente no. Tu stesso hai detto che metà dell’appartamento è ancora tua. Risparmieremo, ho già trovato un asilo per Riccardo lì vicino, e i negozi sono a due passi.»
Andrea sentì il fiato mancargli. Da tempo non si sentiva più padrone della propria vita. Il lavoro rendeva meno, il progetto edile su cui contava era in ritardo, e i soldi scarseggiavano.
Con Paolina non andava bene da un po’. Era più giovane, esigente e abituata al lusso. Una volta lo trovava attraente. Adesso lo stancava.
Ci mise un po’ prima di decidersi, ma alla fine chiamò Irene.
«Siamo in difficoltà. Avremmo bisogno di un posto per qualche mese.»
«È anche casa tua, Andrea. Naturalmente, vieni pure» rispose lei con calma.
Quando arrivarono, Paolina guardò l’appartamento e arricciò il naso:
«È un po’ scuro» borbottò, attraversando le stanze con le scarpe. «Ma può andare.»
Irene sopportò tutto in silenzio. Ma quando si trattò della cucina, stabilì le regole:
«Si pulisce a turno. Ognuno cucina per sé. Il frigo è condiviso, ma con spazi separati.»
Paolina si indignò:
«Non siamo venuti qui per sottostare a regole!»
«E noi non vi abbiamo presi in pensione» rispose Irene, senza alzare la voce.
Il mese seguente fu un incubo. Paolina criticava Irene, accennando che se ne dovesse andare. Ma Irene resisteva. Andrea taceva, perché sapeva: la colpa era tutta sua.
Un giorno Irene gli disse:
«Vado dai miei genitori. Mi riposerò. Solo, ti prego, non rovinate la casa.»
Paolina a malapena tratteneva la gioia. E il giorno dopo riprese il discorso:
«Ho ordinato un progetto di design, scelto le piastrelle, dobbiamo pagare…»
Andrea perse le staffe:
«Hai perso la ragione?! Non ne abbiamo parlato. Non darò un centesimo!»
«E tu chi sei per decidere?» ribatté lei. «Non sei più un marito, sei un portafoglio ormai quasi vuoto.»
Quella sera fece le valigie.
«Io e Riccardo partiamo per Verona. Se vuoi riprenderci, vieni. E porta i soldi.»
Andrea tirò fuori la carta di credito e la gettò nella borsa.
«Vedrò mio figlio la domenica.»
Quando la porta si chiuse, Andrea, per la prima volta dopo anni, si sentì libero. Si fermò alla finestra e guardò a lungo il fiume.
Una settimana dopo, Irene tornò. Silenziosa, come sempre. Lui sentì l’acqua nella vasca e corse, dimenticando che qualcuno era di nuovo in casa.
«Scusa…» mormorò vedendola.
Lei andò in cucina, e lui, senza girarsi, disse:
«Credo di amarti ancora.»
«Anch’io, Andrea. Ma non si torna indietro. Solo se ricominciamo da zero.»
«Sono pronto» sussurrò lui.
«Pronto lui…» sorrise lei. «Temo che dovrò mantenerti di nuovo. Allora, hai fame?»
«Certo. Non ho mangiato niente da stamattina.»
«Allora sbuccia le patate. Qui, tra l’altro, tutti si arrangiano da soli.»