Avevo desiderato una figlia, ma Dio mi diede un figlio. E ora piangevo al suo matrimonio…
Mentre si svolgeva lo sfarzoso, vivace e chiassoso ricevimento di Alessandro e Beatrice, e ogni invitato alzava il bicchiere in onore degli sposi, nessuno notò la donna in fondo alla sala che asciugava furtiva le lacrime. Era la madre dello sposo, Lucia Romano. E non piangeva per commozione, ma per il vuoto che le stringeva il cuore, per la solitudine che sentiva avvolgerglielo.
Molto tempo prima, sua madre le aveva detto: «Se avrai un figlio, resterai sola. Provaci ancora, magari nascerà una femmina. Una figlia è per la madre, un figlio per la moglie». Allora Lucia aveva scosso la testa, incredula. Pensava che la vita fosse lunga, che non ci fosse fretta.
Fin da giovane aveva sognato una bambina. Immaginava di lavarle quel visino rotondo ogni mattina, di pettinarle i ricci, di legarle i fiocchi. Aveva persino scelto il nome: Antonella. Aveva comprato lenzuolini rosa e chiesto a un’amica di tenere i vestitini della sua piccola, «casomai mi servissero».
Ma il destino dispose altrimenti. Nacque un maschio. Alessandro. E anche se ovviamente non era Antonella, era così dolce, affettuoso e con quei ricciolini che Lucia spesso lo guardava e pensava: «Quasi come una bambina…»
Da piccolo, persino gli sconosciuti lo scambiavano per una femminuccia. Poi crebbe, diventò un uomo, sicuro di sé. Ma il carattere rimase gentile, aperto. Ne era fiera, eppure dentro di sé covava ancora quel rimpianto: forse avrebbe avuto davvero la sua Antonella se non avesse avuto paura, se non avesse lasciato il marito, se non fosse rimasta sola…
Quando Alessandro portò a casa Beatrice, Lucia capì subito. I loro sguardi, le risate, le mani intrecciate: era amore, puro e vero. Quella volta non riuscì a dirgli ciò che aveva in mente. Gli chiese solo: «Non tornare troppo tardi…»
Lui annuì, ma nei suoi occhi era già chiaro: non era più un ragazzino, ma un uomo che prendeva le sue decisioni.
Sei mesi dopo, quando annunciò che si sarebbe sposato, Lucia trattenne il fiato.
«Non potresti aspettare? Almeno finisci l’università…» provò a insistere.
«Mamma, l’amore non aspetta» sorrise lui. «Io e Beatrice siamo una squadra. Con lei posso tutto.»
Il matrimonio fu sontuoso, pieno di musica, balli, allegria. Eppure, nel momento più festoso, Lucia rimase in disparte, fissando suo figlio. Non più il bimbetto riccioluto, ma un uomo adulto, pronto a vivere la sua vita.
Beatrice notò la sua espressione e le si avvicinò, posandole una mano sulla spalla.
«Lucia, perché piangi? C’è qualcosa che non va?»
«No, cara… Sono solo emozioni…» rispose, voltandosi.
Ma Beatrice non si arrese. Allora Lucia le confessò tutto: il sogno di una figlia, la paura di restare sola, il peso di essere una donna con un solo figlio maschio. Beatrice ascoltò in silenzio. Poi l’abbracciò.
«Lasci che diventi io la sua figlia» disse. «Lo desidero davvero.»
Da quel giorno, tutto cambiò. Alessandro e Beatrice affittarono un appartamento, poi ne comprarono uno. Vivevano per conto loro, ma invitavano sempre Lucia: feste, weekend, cene. Beatrice chiamava spesso per chiederle consigli. E poi… nacque la nipotina. Riccia, adorabile, l’immagine di Alessandro. E anche l’Antonella dei suoi sogni.
Quando la prese in braccio per la prima volta, Lucia pianse. Ma questa volta, di gioia. Beatrice le sussurrò: «Ora sei nonna. Ti vogliamo bene».
Passarono gli anni. Alessandro fece carriera, Beatrice aprì un’attività, e Lucia andò a vivere con loro. Una casa spaziosa, una stanza tutta sua, attenzioni e affetto: tutto ciò che una donna della sua età poteva desiderare.
Oggi, ripensando a quel matrimonio e a quelle lacrime, sorride. Spesso siede in cortile con le vicine: una ha la figlia in America e la sente una volta al mese, l’altra ha due figli maschi che la visitano ogni giorno.
«Non è importante cosa nasce» dice Lucia. «È importante come lo cresci. Io volevo una figlia… e il destino mi ha dato un figlio. E poi una figlia in più. Grazie, Signore.»
E mentre guarda la nipotina giocare nella sabbia, rivolge un pensiero a sua madre: «Ti sbagliavi. Anche un figlio può essere per la madre… se è lei a insegnarglielo.»