Il Ritorno di Lei

Livia si trovava davanti alla porta dell’appartamento di Enrico, tormentando nervosamente la maniglia della borsa. Due anni e mezzo prima lo aveva lasciato sbattendo la porta, convinta che Paolo, il suo amico con tanti soldi e una macchina costosa, le avrebbe regalato la vita che sognava. Ma Paolo si era rivelato diverso, e ora Livia aveva deciso di tornare. «Enrico mi ha sempre amata», pensava. «Mi riprenderà, non ha scelta». Premette il campanello, sistemò i capelli e forzò un sorriso. Enrico aprì, e al suo sbalordito «Ma guarda chi si rivede! Che vento ti porta?» si sentì più sicura.

«Sono tornata», sorrise, annusando l’aroma di patate al forno e polpette. «Stai preparando la cena? Che buon profumo». Enrico aggrottò la fronte. «Tornata? Da me?» Livia annuì, ma la sua domanda successiva la confuse: «Abbiamo già cenato. Scusa, non ti posso invitare». «Abbiamo?» ripeté lei, sentendo un groppo in gola. «Chi sarebbe “noi”?» E allora, dalla cucina, uscì una donna. Livia fissò meglio e trattenne un grido: era Ottavia, la sua amica, con cui una volta aveva brindato con prosecco parlando di come lasciare Enrico.

Livia e Enrico si erano sposati cinque anni prima, ma il loro matrimonio era un susseguirsi di litigi. Lei voleva una vita elegante: ristoranti, viaggi, vestiti costosi. Enrico, ingegnere in una fabbrica, guadagnava poco, nonostante si sforzasse. I suoi genitori portavano cibi dalla campagna per risparmiare, ma Livia brontolava: «Non voglio il loro latte e il loro formaggio!» Spendeva i suoi soldi in vestiti e un telefono nuovo a rate, e pretendeva di più da Enrico. «Sei un miserabile», gli diceva. «Perché mi sono messa con te?» Lui le chiedeva di pulire casa, ma lei si rifiutava: «Questa è la tua casa, io non ci comando».

Tutto cambiò quando Livia si infatuò di Paolo. Era affascinante, ricco, la portava al bar, le prometteva mari e monti. Ottavia l’aveva avvertita: «Liv, Paolo è un donnaiolo, pensaci!» Ma lei non ascoltò. Imballò le valigie, gettò le chiavi a Enrico e partì con Paolo senza neanche salutarlo. Ottavia era rimasta in quell’appartamento, a sistemare il caos che Livia aveva lasciato. E Livia rise: «Prenditi Enrico, è tuo!» Non immaginava che quelle parole sarebbero diventate profetiche.

Vivere con Paolo non fu una favola. Era generoso, ma pretendeva obbedienza, e i suoi tradimenti Livia li sopportò finché non ne ebbe abbastanza. Dopo due anni, scoprì che Enrico aveva avuto una promozione, comprato una macchina e non si era risposato. «Mi aspetta», pensò, lasciando un biglietto a Paolo e fuggendo. Ma ora, sulla porta, fissava Ottavia, che le disse con calma: «Ciao, amica. Cosa ti stupisce? Me l’hai lasciato tu».

Livia sentì le guance ardere. «Siete sposati?» balbettò. Enrico annuì: «Sì, Livia. E stiamo bene. Tu cosa volevi?» Lei esitò: «Pensavo… magari potevamo…» Ottavia la interruppe dolcemente: «Livia, hai i tuoi genitori. Saranno felici di rivederti. Noi dobbiamo andare. Addio». La porta si chiuse, e Livia rimase sola sulla scala, stringendo la borsa.

Ricordò quando Ottavia puliva quell’appartamento, quando preparava le crostate, quando andava a trovare la nonna. Allora Livia rideva della sua «semplicità», ma ora capiva: Ottavia aveva dato a Enrico quello che lei non poteva—cura, calore, amore. Pensò di tornare da Paolo, ma il biglietto che aveva lasciato aveva bruciato ogni ponte. I genitori? Erano lontani, offesi dalle sue scelte. Si sedette sulla panchina davanti al palazzo, sentendo il mondo crollarle addosso. «Che cosa ho fatto?» sussurrò, ma non c’era risposta.

Nell’appartamento, Enrico e Ottavia si preparavano per cena. Un mese dopo, nacquero i loro gemelli, e i genitori di Enrico, adorando la nuova nuora, erano al settimo cielo. Livia, invece, rimase a mani vuote, pentita delle sue scelte. La vita, come Ottavia aveva avvertito, non perdona chi butta via il presente per un’illusione.

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