**20 ottobre, Roma**
La vita può cambiar direzione in un attimo, senza avviso.
Beatrice era partita per lavoro a Napoli, lasciando a Roma il suo fidanzato, Marco. Con gli affari terminati in anticipo, decise di tornare a casa senza avvertirlo, per fargli una sorpresa. Marco non le aveva mai dato motivo di dubitare, ma durante il viaggio in treno, pensieri inquietanti le attraversarono la mente. E se lo avesse trovato con un’altra? Scacciò quelle fantasie, ma il cuore le batteva forte. Voleva vederlo sorpreso, felice. Ma il destino aveva altri piani. Appena accese il telefono alla stazione, un messaggio le gelò il sangue.
Appoggiò la fronte al vetro freddo del taxi, cercando di calmarsi. Perché immaginava scene da telenovela? La sua vita con Marco era stabile, quasi noiosa, e forse per questo si inventava drammi. L’auto odorava di un vecchio dopobarba che le ricordava suo padre. L’autista, un uomo sulla sessantina con capelli grigi e il collo rugoso, sbadigliava e si grattava l’orecchio, esattamente come faceva suo padre quando era stanco. Guidava in modo brusco, e Beatrice si aggrappò al bracciolo.
«Signorina, come ti chiami?» chiese l’autista. «Beatrice», rispose lei, sorpresa. «Io sono Vittorio. Bea, il tuo treno parte tra molto? Possiamo fare rifornimento?» Il treno era tra tre ore, e annuì: «Sì, ho tempo». Vittorio sorrise: «Le donne sono tutte così! Mia moglie arriva sempre con due ore d’anticipo!» Beatrice scosse le spalle: odiava essere in ritardo. «Tra l’altro, sono Beatrice Vittoria», aggiunse, per cambiare argomento. «Davvero? Mia figlia si chiama Bea. E anche mia madre», disse lui, illuminandosi.
Cominciò a raccontare della sua vita, e Beatrice lo ascoltò, stupita. Vittorio era cresciuto in una famiglia numerosa, aveva lavorato dai quattordici anni, senza studi. Aveva debiti e problemi di salute. I figli del primo matrimonio non lo perdonavano per aver lasciato la loro madre. L’unica gioia era la figlia, per cui pagava gli studi, sperando che avesse un futuro migliore. Beatrice immaginò: se lui fosse stato suo padre? Lei, figlia di un imprenditore benestante, non avrebbe mai conosciuto Marco, che al primo appuntamento le aveva chiesto chi fossero i suoi genitori.
«Ti è piaciuta Napoli?» chiese Vittorio, avvicinandosi alla stazione. «Sì, è bellissima», rispose lei. «Di dove sei?» «Roma». «Ah, lontano! Ci sono stato una volta, per un funerale. Eri qui per lavoro?» «Sì». «Torna a trovarmi! Ecco il mio biglietto da visita, sono un autista esperto!» Le porse la carta, e Beatrice, osservandolo, pensò ancora a quanto somigliasse a suo padre.
Sul treno, s’immerse nei suoi soliti sogni. Da bambina voleva fare la scrittrice, ma il padre l’aveva spinta a studiare economia per ereditare l’azienda. Se ne pentiva? No. La sua vita era ordinata, e questo la tranquillizzava. Non aveva avvisato Marco del ritorno, impaziente di sorprenderlo. Ma tutto cambiò quando il telefono vibrò: un messaggio della madre. «Papà è in ospedale. Infarto».
Non aveva mai visto suo padre fragile. Era sempre stato forte, invincibile. Ora era pallido, attaccato a macchinari. La madre uscì per parlare col dottore, e rimasero soli. «Come stai?» chiese, trattenendo le lacrime. «Bene, piccola», sussurrò lui. Per non piangere, parlò del viaggio: «Napoli è bellissima, e l’autista… si chiamava Vittorio, come te». Il padre la interruppe: «Sono nato lì».
Beatrice trasalì. Lui non parlava mai della sua infanzia. «E il mio nome non è Vittorio», aggiunse, lasciando le parole sospese nell’aria. «Ho mentito per tutta la vita. Solo tua madre lo sa. Avevo tre anni quando tutto accadde. Sono nato a Napoli, ma il mio vero nome è Alessandro. Vittorio era mio fratello maggiore, mi cresceva lui. La famiglia era povera, mio padre beveva, mia madre… non ricordo. L’unica cosa che ricordo è il pane con burro e zucchero».
Raccontò che un giorno sua madre lo aveva lasciato solo in una vecchia casa umida. Il fratello aveva supplicato, ma lei se n’era andata. Spaventato, il piccolo Alessandro scappò, si perse tra la folla, salì su un autobus e finì in un paese. Lo trovarono, gli chiesero il nome. Perché disse di chiamarsi Vittorio? Non lo sapeva. Nessuno cercò la sua famiglia, o forse non denunciarono la scomparsa. Una donna del posto lo prese con sé, gli diede da mangiare, divenne sua madre. «Non ricordo nulla, Bea», concluse. «Solo mio fratello. Vorrei sapere che fine ha fatto».
Beatrice ascoltò, incredula. E se Vittorio, l’autista, fosse quel fratello? Ricordò il suo volto, il racconto della famiglia numerosa. «Non li hai mai cercati?» chiese. «A che pro? Non li ricordo. Solo il nome Bea mi torna in mente… forse una sorella, o mia madre. Voglio che i miei nipoti mi ricordino. Ma non ci sono. E vorrei vederti sposata. So che oggi non è di moda, ma tu e Marco…».
Beatrice sospirò. Non era contraria al matrimonio, ma Marco non ne parlava. «Guarisci», disse. «Avrai il tuo matrimonio». A casa, Marco era al pc, impegnato in un videogioco. «Che sorpresa! Perché non mi hai avvisato?» esclamò, felice. Lei, esausta, scoppiò in lacrime. Marco l’abbracciò, e lei gli parlò del padre, tacendo il suo segreto. Poi, all’improvviso: «Sposiamoci?»
Marco si tirò indietro, corrugando la fronte. «Bea, stiamo bene così. È tuo padre che ti ha messo questa idea in testa». «Quindi non vuoi sposarmi?» La voce le tremò. Sapeva che lui era incerto, ma sentirlo fece male. «Ne abbiamo già parlato», disse lui. «Se vuoi un figlio, lo facciamo anche senza anello. Stiamo bene così». Beatrice tacque, ma il risentimento rimase.
Quando il padre migliorò, partì di nuovo per Napoli, senza avvertire Marco. Lasciò un biglietto: «Devo riflettere su di noi». Ma il vero motivo era un altro: trovare Vittorio. Il biglietto era perso. All’hotel, la receptionist, Anna, era in ferie. Supplicò le altre di darle il suo numero, ma rifiutarono. «Anna torna tra due settimane», le dissero. In camera, pianse, sentendosi persa. Perché era lì? Marco l’avrà già lasciata, e il fratello del padre era irraggiungibile.
Marco scrisse: «Cosa significa?» «Quello che vuoi», rispose. «Dove sei?» «Non sono affari tuoi. Non sei mio marito». Lui non rispose. Bussarono alla porta: una ragazza della reception le sussurrò: «Ecco l’indirizzo di Anna. Non dirlo a nessuno!» Beatrice, piena di speranza, andò lì, cancellando tre taxi nella speranza che arrivasse Vittorio. Ma non fu lui.
In un quartiere vecchio, tra case sbiadite, un ragazzo in maglietta stropicciata aprì. «Cerco Anna», disse lei. «Sei amica di Luca?» «Chi è Luca?» Lui si rilassò, si presentò come Matteo, e la invitò per un caffè. RaccontòLei accettò il caffè, ma il cuore le batteva forte, mentre si chiedeva se quel viaggio l’avrebbe davvero portata a scoprire la verità su suo padre.