Non voglio essere inutile nella vecchiaia.

Non voglio finire da vecchia senza nessuno che mi voglia bene.

Mio figlio si è sposato dieci anni fa. Da allora, lui, sua moglie e la loro bambina vivono ammassati in un minuscolo monolocale. Sette anni fa, Gabriele comprò un terreno e iniziò a costruire casa, poco a poco. Prima, un lungo silenzio. Dopo un anno, misero la recinzione e gettarono le fondamenta. Poi, ancora silenzio – i soldi erano finiti. Così è andata avanti per anni: lentamente, con fatica, ma lui ha continuato a mettere da parte per i materiali, senza arrendersi.

In tutto questo tempo, hanno costruito solo il piano terra. Ma il sogno è una casa a due piani, con spazio per loro e anche per me. Gabriele è buono, mi ha sempre detto: *«Mamma, vivrai con noi, avrai la tua stanza»*. Per investire nella costruzione, hanno persino scambiato un bilocale con un monolocale, mettendo la differenza nel progetto. Ma ora stanno stretti, soprattutto con la bambina.

Ogni volta che vengono a trovarmi, parlano solo della casa. Mi spiegano dove ci sarà il bagno, come isoleranno le pareti, che tipo d’impianto elettrico installeranno… Io li ascolto, ma il cuore mi si stringe. Non una parola sulla mia salute, nessun interesse per come sto io – solo muri, tubi, mansarde.

Un giorno mi sono decisa a chiedere direttamente:
*«Allora, devo vendere il mio appartamento?»*
Si sono illuminati. Si sono agitati, parlandomi entusiasti di come avremmo vissuto insieme. Ma io guardavo mia nuora e capivo: sotto lo stesso tetto con lei non voglio stare. Non mi sopporta, e io a stento trattengo le parole che mi bruciano in gola.

Però il cuore mi fa male per Gabriele. Si sgobba, lotta. Ci metterà altri dieci anni a finire quella casa, se non lo aiuto. E io vorrei davvero alleggerirgli la vita. Ma ho chiesto la cosa più importante:
*«E io dove vivrò?»*

La risposta è arrivata subito. Mia nuora, sempre piena di idee *”geniali”*, ha esclamato:
*«Tu hai la tua casetta in campagna, no? Puoi stare lì! Tranquilla, senza dar fastidio a nessuno.»*

La casetta c’è. Ma è una baracca di legno di quarant’anni. Senza riscaldamento. D’estate, sì, ci si può andare per un giorno, respirare un po’ d’aria, cogliere una mela. Ma d’inverno? Spaccare la legna? Andare in bagno nella neve? Le gambe ormai mi tradiscono, la pressione balla. Ho paura persino ad andarci da sola, e loro mi propongono di *SVERNARE* lì?!

Ho provato a spiegare:
*«Fa freddo, il bagno è fuori, niente riscaldamento, niente comodità.»*
E loro:
*«La gente nei paesini campa lo stesso, mica muore.»*

Ecco. Non mi hanno nemmeno proposto di restare da loro finché la casa non fosse pronta, non hanno detto *«Ti terremo d’occhio»*. Solo: *«Vendi l’appartamento – la costruzione è ferma!»*

E poi, l’altro giorno, ho sentito mia nuora al telefono con sua madre:
*«Potremmo trasferirla da quel vicino, lasciarli vivere insieme. E vendere prima possibile il suo appartamento, prima che cambi idea.»*

Mi sono sentita mancare le gambe. Ah, ecco. Hanno già deciso del mio futuro. Io che pensavo a una stanza nella loro casa… e loro mi spediscono dal vicino, con le chiavi dell’appartamento in mano.

Vado spesso da Angelo, il vicino. È vedovo, vive solo. Chiacchieriamo, beviamo il caffè, ricordiamo i vecchi tempi. Ma vivere con lui?! Per di più costretta? Sarebbe umiliante.

Sto seduta e penso: e se vendessi davvero l’appartamento? Se investissi i soldi nella casa, aiutassi Gabriele? Magari poi mi darebbe davvero un angolo suo… Magari sarebbe buono con me?

Ma poi guardo mia nuora, ripenso alle sue parole… e la paura mi sale: e se poi mi mandassero via? E se rispunta la proposta della casetta, con un bel *«Grazie tante»*?

Tra poco compio settant’anni. Non voglio finire per strada. Non voglio essere un’anziana indifesa, spinta da una parte all’altra. Non voglio morire in quella baracca gelida, sotto una coperta coi topi. E soprattutto, non voglio essere di peso a mio figlio e sua moglie.

Voglio solo una vecchiaia in pace. Nella mia casa. Nel mio letto. Dove so dove sono le cose. Dove non ho paura di chiudere gli occhi.

Sono una madre, sì. Ma sono anche una persona.

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