Mi chiamo Giovanna. Vivo in un piccolo paese in Toscana, dove tutti si conoscono e le notizie si diffondono più veloci del vento. Io e mio marito siamo felicemente sposati da tanti anni, e abbiamo due figli adulti, un maschio e una femmina. Mio marito ha sempre guadagnato bene, quindi ho dedicato la mia vita alla famiglia: alla casa, ai bambini, alla creazione di un ambiente accogliente. Questa è sempre stata la mia vocazione, e non ho mai rimpianto la mia scelta.
I nostri figli sono cresciuti e hanno lasciato il nido familiare da tempo. Mia figlia, Sofia, si è sposata e ora vive in Francia, godendosi il sole e la sua nuova vita. Ci sentiamo spesso al telefono, e so che è felice. Mio figlio, invece, Luca, è rimasto più vicino, in una città limitrofa. È sposato, e sono sempre stata fiera di come ha costruito la sua vita: una famiglia solida, un buon lavoro, il rispetto dei colleghi.
Io e mio marito siamo in pensione, ma abbiamo abbastanza per vivere comodamente. Non abbiamo mai chiesto aiuto ai figli e abbiamo sempre cercato di essere un sostegno per loro. Per questo, quando Luca ci ha invitato alla festa per i loro 15 anni di matrimonio con sua moglie, ero felicissima. Era l’occasione per riunirci, festeggiare nostro figlio e la sua famiglia. Il banchetto si è tenuto in un ristorante elegante nel centro della città, e non vedevo l’ora di passare una serata in loro compagnia.
Al ristorante c’erano molti ospiti: amici di Luca, colleghi, parenti. L’atmosfera era allegra e rilassata. Gli invitati brindavano, felicitavano la coppia, condividevano parole affettuose. Poi è arrivato il momento dei racconti, quando tutti hanno iniziato a condividere aneddoti divertenti del passato. Luca, sorridente, si è girato verso di me e mi ha chiesto di raccontare qualcosa di buffo della sua infanzia. Ero commossa: mio figlio voleva che condividessi un ricordo personale, qualcosa che ci univa.
Ho pensato a quando da piccolo Luca adorava infilarsi nell’armadio di sua sorella, indossare i suoi vestiti e annunciare con serietà di essere diventato una “principessa”. Quella storia ci faceva sempre ridere, io e mio marito: un’innocente birichinata. L’ho raccontata con affetto, e tutti hanno riso, alcuni anche con tenerezza. Credevo di aver reso la festa ancora più speciale.
Ma pochi minuti dopo, Luca si è avvicinato con l’espressione stravolta dalla rabbia. “Mamma, come hai potuto? Mi hai umiliato davanti a tutti!” mi ha sibilato. Ero sconvolta. Le mie parole, dette con amore, erano diventate per lui un’offesa. Ho provato a spiegare che non volevo ferirlo, che era solo un ricordo dolce, ma ha scosso la testa e si è allontanato. Per il resto della serata mi ha evitata, mentre il mio cuore si stringeva dal dolore.
Sono passate due settimane, ma la ferita è ancora aperta. Luca non chiama, non scrive. Quando provo a contattarlo, ignora le mie chiamate come fossi un’estranea. Disperata, sono andata a casa sua per parlare, ma quell’incontro mi ha spezzato il cuore. “Non voglio vederti, mamma,” mi ha detto freddamente. “Mi hai fatto vergognare davanti a tutti. Come posso guardarli negli occhi adesso?” Le sue parole erano come un coltello. Ho cercato di chiarire, di farmi capire, ma ha ripetuto: “Vattene.”
Ormai sono due mesi che non ci parliamo. Mio figlio, che ho cresciuto, amato, protetto, mi ha voltato le spalle per un episodio innocente. Passo le notti a ripensare a quella serata, chiedendomi dove ho sbagliato. Era solo un gioco infantile, come tanti altri bambini fanno. Perché l’ha presa così male? Forse davvero non capisco il suo mondo, i suoi valori.
Spero ancora che il tempo possa guarire questa ferita. Forse Luca si calmerà e capirà che non volevo fargli del male. Ma per ora il mio cuore soffre di rabbia e tristezza. Ho raccontato tutto a Sofia, ed era sconvolta: “Come ha potuto trattarti così, mamma?” Il suo sostegno mi conforta, ma non basta. Ho davvero perso mio figlio per una stupida storia? Come posso vivere con questo dolore?