Come dire a mio marito che ho segretamente sistemato sua madre in una casa di riposo senza sensi di colpa

Oggi scrivo queste parole nel mio diario, con il cuore pesante ma anche con una strana sensazione di libertà. Non avrei mai immaginato che, solo un anno dopo il matrimonio, mi sarei trovata davanti a una scelta così dura: salvare la mia sanità mentale o salvare il mio matrimonio. Mi chiamo Beatrice, ho trentadue anni e ho sempre creduto di essere una persona paziente e giusta. Ma a quanto pare, anche i più pazienti arrivano a un punto in cui devono scegliere se stessi. E ora sono proprio lì, su quel confine.

Quando ho conosciuto Luca, mi sembrava l’uomo perfetto. Attento, premuroso, con un grande senso dell’umorismo. Non si lamentava mai, non parlava dei suoi problemi, sempre sorridente. Frequentavamo da poco più di un anno, e lui viveva tra appartamenti in affitto e a volte stanze d’albergo. Pensavo volesse solo nascondermi il disordine di casa sua. Che ingenua…

Il nostro matrimonio fu semplice, solo un passaggio in comune. Luca diceva di non volere feste sfarzose, e io ero d’accordo. I soldi ci servivano per altro. Dopo la cerimonia, ci dirigemmo verso quella che lui chiamava “la nostra nuova casa”. E fu proprio in quel momento che iniziò il mio thriller personale. Perché ad aspettarci non c’era la romantica vita a due… ma Grazia, mia suocera. E, come scoprii poi, era solo la punta dell’iceberg.

Quella donna, sua madre, era entrata nella nostra vita come un’ombra del passato. Aveva quasi ottant’anni, ma nonostante l’età, era vivace, veloce e, francamente, molto furba. Correva per casa come una trottola, ma appena le proponevi qualcosa, si afferrava al petto con un gemito e si buttava sul divano, trasformandosi in un’eroina tragica. Aveva un talento innato per manipolare ogni conversazione.

Provai a parlarne con Luca. “Forse potremmo affittare qualcosa per lei?” Lui scuoteva la testa: “E che dici? Mamma non ce la fa da sola. È anziana, ha paura”. E io? E noi? Quando in camera da letto c’era un quadro di suo nonno che sembrava un santo ortodosso, e dietro il muro lei alzava la radio a tutto volume alle sei del mattino cantando “Volare” a squarciagola?

Ho resistito. Davvero. Per due mesi ho lavato le sue tazze, sopportato che frugasse nel mio armadio, che commentasse ad alta voce i miei vestiti, i miei piatti, persino… la mia vita intima. Una volta tornai dal lavoro e lei mi disse:

“Che hai, sei così pallida? Luca non si impegna abbastanza, eh?”

Rimasi senza parole.

Poi, un giorno, scorrendo il telefono, mi imbattei in un servizio su case di riposo di nuova generazione. Residenze luminose, accoglienti, con assistenza medica, pasti e attività. Non erano luoghi dove si aspetta la fine, ma dove si vive: si dipinge, si balla, si socializza. Chiamai, chiesi i prezzi… e mi gelai. Un mese in quel posto costava quanto l’affitto di un bilocale a Milano. Fu allora che nacque il mio piano.

Non dissi nulla a mio marito. Semplicemente, organizzai tutto. All’inizio Grazia si oppose, ma quando vide parchi, signore eleganti in vestaglie e concerti serali, si arrese. Anzi, sembrò rifiorire, come se avesse ritrovato una seconda giovinezza.

Ora sono seduta nell’appartamento vuoto e non so come dirgli che sua madre vive da una settimana in una casa di riposo, circondata da cure, pulizia e compagnia, mentre io non devo più sfuggire sul tetto per respirare.

Da un lato, ho paura. Dall’altro, sento un sollievo immenso. Finalmente posso dormire la notte, camminare per casa in accappatoio, ascoltare la mia musica senza che lei la definisca “roba del demonio”. Ho ricominciato a respirare. A vivere.

Stasera glielo dirò. Perché se aspetto ancora, peggiorerà solo. E lui dovrà capire… o capirò io di aver sbagliato non solo con sua madre, ma anche con lui.

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