**Diario Personale**
Quella sera, il mio cuore avrebbe potuto scoppiare, se non avessi stretto i denti con tutte le mie forze. Ricordo tutto: il solito squillo del telefono, la voce allegra di mio figlio. “Mamma, io e Tiziana (nome inventato) passiamo da voi più tardi. Vogliamo farvi conoscenza.” Sembrava felice, sicuro di sé, come chi ha preso una decisione importante. Io e mio marito ci scambiammo uno sguardo e sorridemmo: finalmente! Marco si era deciso a sposarsi. Bastava con questa vita da scapolo!
Marco non è un ragazzo semplice. Indipendente fin da piccolo, con un carattere forte. Dopo il liceo, fece il militare, poi un giorno annunciò: “Vado al Nord. A lavorare. Voglio guadagnare bene.” Io e suo padre restammo sbalorditi, ma non lo scoraggiammo. Partì, e quando tornava, portava sempre prelibatezze locali: formaggi di montagna, salumi, vini pregiati. Diceva che lassù la vita era dura ma affascinante, la gente autentica.
E ora, il matrimonio. Preparammo la tavola con una tovaglia bianca, pane e vino, indossammo i nostri abiti migliori. Attendevamo. Il campanello suonò. Corsi ad aprire e… quasi mi mancò il respiro.
Sulla soglia c’era una donna. O meglio, prima vidi soltanto un enorme cappotto di lana, e dietro, tre bambini e Marco. Il cappotto entrò, si aprì, e ne uscì una ragazza minuta, capelli neri folti, uno sguardo penetrante. Marco la presentò:
“Questa è Fiammetta. La mia fidanzata.”
Sentii il mondo crollarmi addosso. La ragazza annuì in silenzio, mentre i bambini, senza aspettare inviti, si sedettero direttamente per terra. Uno iniziò a togliersi le scarpe, l’altro si arrampicò sul davanzale. Il più piccolo, Fiammetta lo legò con una cintura alla gamba del divano, per evitare che scappasse. Un silenzio innaturale riempì la casa, insieme a un odore intenso, come se le Alpi fossero arrivate fino al nostro appartamento a Firenze.
Ci sedemmo in salotto. Io avevo preparato tutto con cura, ma Fiammetta iniziò a servire il cibo ai bambini con le mani! Per sé usava la forchetta, ma la teneva in bocca come uno stuzzicadenti. Parlava poco, a monosillabi.
“I bambini sono vostri?” chiese mio marito, fissando i tre marmocchi per terra.
“Miei,” rispose lei, impassibile.
Scambiai un’occhiata con mio marito. Ma questa sarebbe stata la nostra famiglia ora?
“Marco, tesoro, dove vi siete conosciuti?” domandai, con una voce che tremava.
“In montagna, mamma. Lei canta come un angelo. Dovresti sentirla!” rispose Marco, con uno sguardo che non gli riconoscevo più.
“E dove pensate di vivere?” intervenne mio marito.
“In un rifugio di montagna, se serve,” rispose Marco, scrollando le spalle.
A quel punto, qualcosa in me si spezzò. Uscii in cucina, seguito da mio marito. Ci fissammo, gli occhi sgranati.
“Che facciamo?”
“Non lo so,” rispose lui, alzando le mani.
Tornammo in salotto. Mio marito si avvicinò a Marco e, senza guardarlo in faccia, gli allungò dei soldi:
“Ecco per l’albergo. Scusa, ma non potete restare qui.”
Marco sospirò:
“Avete sempre detto che vi bastava che mi sposassi, che avreste accettato chiunque. Ecco, ve l’ho portata.”
Se ne andarono. Con i bambini. Con il cappotto. Con quell’odore.
Passarono quaranta minuti. Il campanello suonò di nuovo. Corsi alla porta. Erano tornati, ma diversi. Fiammetta, senza più il cappotto, indossava una giacca normale, i capelli legati, lo sguardo vivace.
“Buonasera,” disse educatamente. “Ci scusi.”
“Non capisco,” borbottai, facendomi da parte.
Marco sorrise e fece un passo avanti:
“Mamma, hai sempre ripetuto: ‘Almeno sposati, almeno sposati’. Io non voglio. Per ora. Lei è Fiammetta, una mia amica. Abbiamo deciso di fare uno scherzo. Viene da Bolzano, è in visita con i nipoti. Non avevano dove stare. Ho pensato di recitare questa scenetta.”
Crollai su una panca nell’ingresso. Le gambe mi cedettero.
“Marco, fa’ quello che vuoi, ma non spaventarmi così! Credevo di avere un infarto!” sussurrai.
Tornammo a tavola. Fiammetta, ora completamente diversa, aiutò in cucina. I bambini ridevano. Io e mio marito capimmo una cosa: sì, stiamo invecchiando. Ma lo scherzo di Marco era perfetto: pauroso come la realtà.