**Diario di Serena**
Oggi è stata una giornata che non dimenticherò facilmente. Mi sono preparata con cura per il compleanno di mia sorella maggiore, Elisabetta. Ho scelto il mio vestito più elegante, ho sistemato i capelli e mi sono spruzzata un tocco di profumo. Tra le mani tenevo una scatola ben impacchettata con una torta, sperando che potesse essere un bel gesto per stemperare un po’ la tensione tra noi.
Arrivata al quinto piano, ho suonato due volte il campanello. La porta si è spalancata ed Elisabetta, raggiante nel suo nuovo accappatoio e con i ricci perfetti, ha battuto le mani:
— È per me?! Non hai dimenticato il mio compleanno, vero?
— Certo che è per te, — ho risposto con calma, porgendole la scatola.
Elisabetta ha preso la torta, sollevato il coperchio e l’ha osservata con attenzione. Sul suo volto è comparsa prima un’espressione di ammirazione, poi una punta di sospetto.
— L’hai fatta tu?
— Sì, — ho sorriso, esitando un attimo.
— Davvero? — ha aggrottato le sopracciglia, girando la scatola tra le mani. — Con che ingredienti l’hai preparata?
— Dobbiamo veramente parlare della ricetta o andiamo dagli ospiti? — ho provato a cambiare discorso.
Ma ormai era tardi. Elisabetta aveva fiutato l’inganno, e non a torto. Tre giorni fa mi aveva chiamata in lacrime:
— Mi sono rotta l’unghia e ho litigato con Marco. Sono distrutta! Niente torta, niente festa!
Avevo accettato la cosa e preso un ordine urgente da una cliente fissa. Ma oggi a pranzo mi ha richiamata:
— Ci siamo riconciliati! Mi ha regalato un braccialetto d’oro! Mi aspetti alle sette, con la torta!
— Ma avevi cancellato tutto… — mi sono bloccata.
— Non fare la difficile! Sei una pasticcera, dimostra di cosa sei capace!
Ho cercato di spiegarle che una torta non si prepara in sei ore, ma lei ha insistito. Allora ho chiamato nostra madre, sperando in un po’ di sostegno:
— Davvero non riesci a fare un favore a tua sorella? — è stata la sua risposta.
Senza alternative, ho deciso di arrangiarmi: ho comprato una torta invenduta da una pasticcera poco conosciuta, Clara. Esteticamente sembrava perfetta. L’importante era il gesto. Ma Elisabetta ha subito capito tutto.
— Clara, vieni qui! — ha gridato verso la cucina.
Dall’altra parte dell’appartamento è comparsa una bruna dai capelli lunghi, che ho riconosciuto all’istante.
— È una tua torta? — ha chiesto Elisabetta con tono glaciale.
— Sì. Me l’ha comprata lei. Quindi questa è la tua famosa sorella pasticcera? — ha ghignato Clara.
Mi sono irrigidita. Gli ospiti sono caduti nel silenzio. Elisabetta, stringendo le labbra, ha strappato il coperchio, preso un po’ di crema con le dita e me l’ha lanciata in faccia.
— Mangiatela tu questa schifezza! — ha sibilato. — Non hai nemmeno avuto la decenza di fare qualcosa di tuo. Vai via!
Mi hanno spinta fuori dalla porta, e dietro di me è uscita anche Clara, che se ne è andata mandando tutti a quel paese con un gesto volgare.
Per strada, asciugandomi il viso con le salviette, ho aperto il telefono e visto decine di messaggi di mia madre:
— Vergognati! Hai mentito a tua sorella! Non ti brucia la coscienza?
Non ho risposto. Ho solo spento lo schermo. Ma non era finita lì.
Stamattina sui social è apparso un post di Elisabetta: «Non fidatevi neanche delle sorelle. Mi ha portato una torta comprata spacciandola per sua. Che figuraccia.»
Ho pianto per mezza giornata. Poi mi sono ripresa. No, non per loro. Per me stessa. Oggi ho fatto una promessa: mai più una torta per la mia famiglia. Mai più un gesto di gentilezza verso chi è pronto a calpestarti in un attimo.
E per la prima volta dopo tanto tempo, mi sono sentita più leggera. Perché ora nella mia vita ci sarà solo ciò che è davvero dolce. Senza finzioni. Senza ipocrisia. E senza chi si definisce famiglia.