Erano di nuovo seduti in quel piccolo caffè all’angolo del vecchio quartiere — Beatrice e Lorenzo.
Lei, una donna alta ed elegante, con ciocche ribelli di capelli scuri che non obbedivano mai, scappando sempre dall’elastico o dalla forcina, come a ricordare che era viva, vera.
Lui, un uomo robusto, con occhi stanchi ma caldi, e quelle rughe agli angoli di chi ride di cuore, senza trattenersi. I capelli alle tempie già sfiorati dal grigio, ma che gli donavano solo più nobiltà.
Seduti uno di fronte all’altra, era come se il tempo si fosse fermato. Lui mescolava con cura lo zucchero nella sua tazza di caffè, sapendo che ne voleva esattamente due cucchiaini. Lei, come sempre, girava tra le dita un tovagliolo di carta, arrotolandolo in un cilindretto stretto.
Sembravano così naturali insieme, come se non si fossero mai lasciati. Ma io sapevo che dietro quei sguardi si nascondeva una vita intera, fatta di scelte, dolori, incertezze… e amore.
“Bea, raccontami come vi siete conosciuti,” chiesi una volta, senza resistere.
Lei guardò Lorenzo, come per chiedergli il permesso. Lui annuì.
“Lavoravo in banca,” cominciò lei, abbassando lo sguardo. “Ero appena stata assunta, tutto mi sembrava nuovo, spaventoso… E lui…” Sorrise.
“Ed io ero il capoufficio arrogante,” intervenne lui con una smorfia.
Bea scosse la testa. “Era insopportabile. Tutte le ragazze dell’ufficio ammutolivano quando entrava. Abito costoso, portamento, quello sguardo… Ma guardava solo me.”
“Con quel vestito blu e la fossetta sulla guancia,” aggiunse lui dolcemente. “Ridevi in modo che tutta la stanza si illuminava.”
Beatrice sorrise e sfiorò involontariamente la guancia.
“E poi… Poi mi ha invitata a cena. Si è ubriacato. E mi ha detto che era sposato.”
Un silenzio pesante cadde tra loro. Il ricordo li schiacciò. Lorenzo strinse la tazzina. Bea guardava da qualche parte nel passato.
“Decisi subito: niente futuro. Non volevo essere ‘l’altra’. Ma lui non mollò. Fiori, libri, viaggi… Grazie a lui ho visto per la prima volta il teatro, l’opera… Ho vissuto.”
“Perché poi non è andata?” domandai con cautela.
“Lui ha chiesto il divorzio. E io ho detto di no. Avevo paura. Paura che si sarebbe pentito. Che non sarei stata quella che credeva. Che la sua famiglia mi avrebbe rifiutato. Avevo paura dell’amore.”
“E io non ero pronto a distruggere tutto. I figli, la routine… Avevo paura della responsabilità,” aggiunse Lorenzo.
Bea sospirò profondamente.
“Poi ho incontrato un altro. Tutto è successo in fretta: proposta, matrimonio… Sono scappata. Nemmeno un addio.”
“Ti avrei chiesto di restare,” disse Lorenzo, quasi sussurrando. “Ma non allora. L’ho capito troppo tardi.”
“Dopo anni ci siamo ritrovati qui, per caso. Io stavo divorziando, e lui mi disse che era felice per me. Io mentii, e lui capì.”
Lorenzo le sfiorò la mano.
“Alzi sempre le spalle quando menti,” sussurrò.
Tacquero. Sguardo nello sguardo. C’era tutto: il vissuto, il non detto, il lasciato andare.
“Ora siamo amici,” sorrise Bea. “O quasi.”
“Sappiamo solo amare. A modo nostro. Senza pretese e promesse,” disse Lorenzo.
E io pensai: il miracolo non è incontrarsi, ma non perdere quel calore dentro, anche se non è andata come si sperava. Riuscire a tenersi stretta una persona, nonostante tutto.
Un miracolo ordinario. Ma forse, il più vero che ci sia.