Ho adottato la figlia di un uomo che non mi ha scelto

Quando ho rivisto Paolina dopo tanti anni — al parco, con un passeggino — il cuore mi ha fatto un salto. Serena, bellissima, con gli occhi limpidi, sembrava non essere cambiata affatto. Ma nel suo sguardo c’era una dolcezza nuova, una profondità… Abbiamo chiacchierato come due vecchie compagne di scuola, anche se ai tempi non eravamo particolarmente amiche. E all’improvviso mi ha detto:

— Vuoi che ti racconti come ho adottato la figlia dell’uomo che mi ha preferito un’altra?

Ho ascoltato senza riuscire a staccarmi.

— È successo sei anni fa — ha iniziato Paolina. — Avevo appena compiuto ventitré anni ed ero partita per un lavoro al Nord, in una ditta edile. Carlo faceva l’autista per la stessa azienda. Due anni più grande, sempre con un sorriso, le mani sporche di polvere e gli occhi buoni. Ci incrociavamo spesso — nei cantieri, in macchina, tra una trasferta e l’altra. E un giorno, dopo una lunga chiacchierata, ho capito: erano guai. Mi è bastato un attimo per rendermi conto che era l’uomo che avevo sempre cercato.

Quando la trasferta è finita, ci siamo scambiati i numeri. Lui non mi ha chiamato. Una settimana, due — silenzio totale. Allora ho preso coraggio e l’ho chiamata io. Abbiamo deciso di vederci nella sua città. Mi aveva promesso di portarmi in montagna… Ero al settimo cielo. Abbiamo passeggiato, bevuto un caffè in un bar e parlato tanto. Sembrava che nulla potesse dividerci.

Poi… silenzio.

Ho chiamato, scritto, ma sembrava svanito nel nulla. Non capivo cosa fosse successo. Il dolore mi strozzava, ma non mi sono arresa. Dopo una settimana ho preso un giorno di permesso e sono andata nel suo paesino. Ho trovato casa sua e bussato. È uscito, confuso, stanco e… distante.

— Scusa — mi ha detto. — Ho una ragazza. Stavamo per lasciarci, credevo fosse finita, ma… ci siamo rimessi insieme. Ci sposiamo tra un mese. Lei non vuole che ci sentiamo.

— Capisco. Auguri…

Me ne sono andata, trattenendo a malapena le lacrime. Poi non le ho più trattenute — ho pianto di notte, al lavoro, sull’autobus. Lui mi appariva in sogno ogni notte. Gli parlavo, gli dicevo quanto lo amassi, quanto lo aspettassi. Non riuscivo a guardare nessun altro uomo. Per me erano invisibili. Continuavo ad aspettare… sperando che il destino mi desse un’altra possibilità.

Passarono tre anni.

Un giorno, scorrendo i social, mi sono imbattuta nel suo profilo. La mano mi tremava mentre digitavo un messaggio. Niente di che — solo un “Ciao, come stai?”. La risposta è arrivata quasi subito. Non ha nascosto la verità: sua moglie era morta per una malattia, lasciandogli una bambina di due anni. Carlo era distrutto, perso, e cresceva la piccola da solo.

Non sapevo cosa dire. Gli ho scritto solo: “Vieni a trovarmi con la bambina. Un po’ di aria nuova vi farà bene.”

Arrivarono.

La piccola si chiamava Caterina. Si è subito affezionata a me — mi tendeva le manine, mi chiamava “mamma” e si nascondeva dietro alle mie gambe. Carlo era imbarazzato, si scusava, diceva che di solito era timida con gli estranei. Ma io non mi sentivo un’estranea. La guardavo e il cuore mi scoppiava. L’ho amata fin dal primo istante.

Abbiamo iniziato a scriverci, a vederci. Caterina non vedeva l’ora che arrivassi. E Carlo… non faceva passi avanti. Mi osservava con cautela. Non ho forzato nulla. Ero semplicemente lì.

Un giorno mi ha chiesto:

— Ma tu non sei sua madre. Non ti pesa?

— Per me è come se lo fosse, Carlo — ho sussurrato, con le lacrime agli occhi. — La amo come se fosse mia…

Tre mesi dopo ci siamo trasferiti insieme. All’inizio come amici. Poi come famiglia. Un anno dopo è nato nostro figlio. Ho adottato Caterina. Sì, legalmente. Ho fatto tutto da sola, presentando i documenti.

La gente chiacchierava, criticava. Dicevano: “Ma come? Lui ti ha lasciata e tu lo riprendi? E pure con una figlia che non è tua?”

Non mia?

Quella bambina correva da me ogni mattina gridando “Mamma!”, mi regalava disegni e mi sussurrava all’orecchio “Ti voglio bene”. Cosa c’è di più “mio” di così?

Ora ha sei anni. Va alla scuola materna, impara a leggere, mi aiuta in cucina e fa da baby-sitter al fratellino.

E Carlo? Abbiamo superato tante cose. Lo vedo grato. Siamo davvero diventati una cosa sola. La famiglia che sognavo di avere sei anni fa.

E sai una cosa? Non mi pento. Neanche per un giorno.
La mia vita è andata esattamente come doveva. Non subito, non facilmente, ma… nel modo giusto.

Io sono tornata da lui.
E lui è tornato da me.
E abbiamo una figlia, un figlio e una casa dove vive la felicità vera.

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