Tempesta in casa: Una storia di dramma

Temporale in Casa: La Dramma di Ginevra

Ginevra aveva appena salutato il marito, Luigi, che partiva per il lavoro, e già sognava un attimo di pace nella loro accogliente casa di Bologna. Ma non fece neanche in tempo a stendersi sulla cuccetta che il citofono squillò con insistenza.
“Apri, su, sbrigati!” strillò la voce acida della suocera dall’altro lato della porta.

Con il cuore in gola, Ginevra aprì. Sulla soglia c’era Agnese Martini, gli occhi luccicanti di determinazione.
“Agnese, è successo qualcosa?” chiese Ginevra, mentre un brutto presentimento le strizzava lo stomaco.
“Dormivi ancora? Muoviti, dobbiamo preparare la stanza! Io trasloco da voi!” annunciò la suocera, come se lanciasse una sfida.
“Come, trasloca? Perché?” Ginevra rimase paralizzata, incapace di digerire quelle parole.

Nella casa di Ginevra e Luigi regnava un’allegra attesa: lei era al quinto mese di gravidanza. Ma la felicità era offuscata da Agnese. Da quando aveva scoperto del nipotino in arrivo, la suocera aveva stritolato Ginevra con la sua “premura”, un mix di veleno e controllo dal quale avrebbe voluto scappare a gambe levate.

Agnese era sempre stata una madre devota, ma la sua attenzione per la nuora era al limite dell’oppressione. Ogni sua parola pesava come un macigno: metà complimento, metà pugnalata.
“Ti guardo e mi preoccupo,” dichiarò un giorno, spuntando senza preavviso.
“Perché?” Ginevra si controllò con una rapida occhiata allo specchio.
“Ma l’hai visto il tuo aspetto? Sei magra come uno stuzzicadenti! Bacino stretto, come farai a partorire? Solo gli occhi hai di bello, con quelli hai stregato il mio Luigi. Del resto, che hai?”

Ginevra rimase senza parole. Era un complimento? Un insulto? Non sapeva cosa rispondere.
“Da piccola sarai stata sempre malata,” continuò Agnese senza pietà. “I tuoi genitori dove avevano la testa?”
“Non ero mai malata!” esplose Ginevra. “I miei mi portavano al mare ogni estate!”
“Appunto, ti portavano perché eri una pianticella debole. Te lo sei scordato!” tagliò corto Agnese, come se avesse chiuso la questione.

La sua “cura” era questa: mai un complimento senza rabbocco di veleno. Facevano eccezione solo Luigi e sua sorella Beatrice, che viveva a Firenze. Per loro, Agnese avrebbe dato la vita.

Al settimo mese, Ginevra non aveva più paura del parto, ma della prossima visita della suocera. Avrebbe perfino cancellato il suo compleanno, pur di non vederla. Ma Luigi insistette:
“Tesoro, è una festa di famiglia! Dovrebbe essere un giorno felice!”

Luigi, abituato ai modi della madre, non si accorgeva di quanto le sue parole ferissero Ginevra.
“Facciamo il compleanno a casa?” propose la settimana prima. “Al ristorante c’è troppa gente, e nella tua condizione è rischioso.”
“Perché a casa?” domandò Ginevra senza entusiasmo.
“Tra poco partorirai, perché rischiare di ammalarti?” argomentò lui.
“Va bene,” sospirò lei. “Ma niente banchetti, non ho voglia di cucinare.”
“Mamma verrà prima, ci aiuterà!” annunciò Luigi, raggiante.

Ginevra impietrì, gli occhi scuriti dal terrore.
“Questa è un’idea di Agnese, vero?”
“Che c’entra mamma? L’ho deciso io!” si difese il marito.
“Certo! Non fai niente senza i suoi suggerimenti!” sbottò Ginevra.
“Amore, mamma vuole solo il nostro bene!”
“Basta! Festeggiamo a casa, ma sarà mia madre ad aiutarmi!”
“I tuoi devono venire dall’hinterland, un’ora di viaggio! Mamma abita a due passi!” obiettò Luigi.
“I miei verranno la sera prima e dormiranno qui!” replicò secca Ginevra.
“Ma che ti prende?”
“Un’altra parola e chiedo a mio padre di portare il cane!” ringhiò lei.
“Lo sai che non sopporto i cani,” ricordò Luigi.
“Appunto!” E Ginevra sbatté la porta della camera.

La vigilia del compleanno arrivarono i genitori di Ginevra, Bianca e Matteo, carichi di regali: verdura dell’orto e vestitini per il bebè. Bianca sapeva che la figlia non era superstiziosa, e comprava già tutto con anticipo. Ginevra e Luigi avevano già preso la culla e il passeggino, ma lo tenevano nascosto ad Agnese.
“Mamma, non dire ad Agnese niente dei vestitini,” pregò Ginevra.
“Ancora con le sue superstizioni?” chiese Bianca.
“Aah, non mi lascia respirare,” si sfogò la figlia. “Da quando sono in maternità, ogni squillo del citofono mi fa saltare.”
“E Luigi?”
“Lui è a lavoro tutto il giorno. Ma la suocera…”
“Non può continuare così,” borbottò Bianca. “Domani gliene dico quattro.”
“Mamma, no!”
“Trent’anni che faccio la madre, non permetto che ti tormenti!” tagliò corto Bianca.

La mattina del compleanno, i genitori erano già in cucina a preparare la colazione.
“Figlia mia, buon compleanno!” Matteo abbracciò per primo Ginevra.
“La nostra bellezza, sii felice!” aggiunse Bianca.

Ginevra mostrò orgogliosa il regalo di Luigi: un anello e i biglietti per una mostra che sognava di vedere.
“Sei fortunata con un marito così!” sorrise Matteo. “Io non mi ricordo mai che mostra piace a tua madre.”
“Vado a lavarmi e poi vi aiuto,” disse Ginevra.
“Intanto io preparo la tavola,” si offrì Luigi.

La serenità fu rotta dal citofono: era arrivata Agnese.
“Oh, i consuoceri! Da quanto non vi si vede! Nemmeno una visita alla figlia incinta! Perché fare tutti quei chilometri?” sibilò.

Bianca non si trattenne:
“Noi, Agnese, non invadiamo la privacy dei giovani come certi che spuntano senza avvisare. Però i soldi li mandiamo puntuali.”

La suocera arricciò il naso ma tacque: Bianca aveva colpito nel segno. La festa proseguì tesa, con Ginevra e Luigi che cercavano di evitare lo scontro.

Il mattino dopo, i genitori di Ginevra ripartirono. Luigi andò a lavoro, e lei, sognando un’oretta di sonno, si infilò a letto. Ma il citofono esplose di nuovo.
“Apri!” urlò Agnese.

Con il nervosismo a mille, Ginevra la fece entrare.
“Buongiorno, Agnese. Cosa c’è?”
“Dormivi ancora? Alzati, prepariamo la mia stanza! Trasloco qui, il parto è vicino!”

Ginevra rimase di sasso. Vivere con la suocera? Era un incubo.
“Agnese, non serve che traslochi. Io e Luigi ce la caveremo. Lasci tutto com’è. Dove vorresti stare? In salotto?”
“Figurati!” sbuffò la suocera. “Comprate un divano-letto e lo mettete nella cameretta. Io starò con il nipotino! Mi alzerò io di notte, lo cambierò, gli darò il ritmo giusto! Lo educherò come si deve!”

Ginevra sentì una voglia improvvisa di scappare in Messico e cambiare identità, ma si limitò a fissare Agnese con un sorriso tirato e a chiamare Luigi, sperando che questa volta suo marito finalmente mettesse un punto alla follia materna.

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