Non venire al mio matrimonio: è solo per ricchi,” disse la figlia al padre operaio che l’ha cresciuta da solo

“Non venire al mio matrimonio, ci saranno solo persone ricche”: così disse la figlia al padre, un umile operaio che l’aveva cresciuta da solo.

Vittorio De Luca dedicò tutta la sua vita a una sola missione: fare della sua unica figlia una persona perbene. Dopo che la sfortuna bussò alla loro porta e sua moglie morì d’infarto, la piccola Bianca rimase sola con lui. Aveva appena trent’anni, e da quel momento in poi non pensò mai a se stesso. Tutte le forze, tutti i guadagni, tutta l’anima — tutto fu per la figlia.

Vivevano nella periferia di Firenze, in una vecchia casa dei suoi genitori. I soldi non bastavano mai — Vittorio lavorava in cantiere, faceva il facchino, di notte il guardiano. Ma si sforzava perché Bianca avesse un’infanzia dignitosa. A volte si indebitava per comprarle un vestito elegante per la recita scolastica, altre digiunava per giorni pur di comprarle un paio di scarpe nuove. E ogni volta, vedendo il suo sorriso, si sentiva ripagato.

Gli tornava in mente soprattutto il Natale — Bianca lo aspettava sempre con impazienza. A scuola c’erano concorsi di costumi, cori, regali. Vittorio faceva l’impossibile perché non si sentisse inferiore. Una volta spese tutti i risparmi per un abito da fiocco di neve, e quella sera Bianca brillò come una vera principessa. Lo abbracciò e sussurrò: «Sei il più bravo del mondo».

Ma il tempo passò. Bianca finì il liceo con lode e partì per Milano per l’università. Tutto come sognava. Viveva in un dormitorio, studiava, faceva lavoretti — la vita standard. Poi la capitale cominciò a cambiarle la testa. Prima lo smalto, i marchi costosi, poi gli uomini benestanti. Iniziò a frequentare ristoranti eleganti, saloni esclusivi. Il padre continuava a mandarle soldi, pacchi, la chiamava, la pregava di tornare, ma Bianca rispondeva sempre meno.

Poi, un giorno, arrivò quel messaggio. Senza saluti, senza sorrisi. «Papà, ti prego, non venire al mio matrimonio. Ci saranno solo ospiti ricchi, e tu… non saresti adatto». Fine. Niente spiegazioni, niente inviti, nemmeno un accenno di gratitudine.

Vittorio lesse quelle parole ancora e ancora. Il cuore gli si strinse. Per tutta la vita l’aveva tirata su come poteva. Non si era mai lamentato, non aveva mai chiesto nulla. L’amava. E lei… si vergognava di lui. Si vergognava del padre che forse non sapeva tenere un bicchiere “alla milanese”, ma che l’aveva tenuta in braccio quando aveva la febbre a quaranta.

Nonostante il dolore, prese il treno e partì. Non poteva non andare — non per il banchetto, ma per guardarla ancora una volta negli occhi. Alla cerimonia restò in disparte, discreto, con una giacca consumata e un mazzo di rose del giardino avvolto in un foglio di giornale.

Quando gli sposi accettavano gli auguri, si avvicinò piano, le porse i fiori, le baciò la guancia e disse:
— Ti auguro ogni felicità, figlia mia. Sii degna della tua vita.

E se ne andò. Non aspettò ringraziamenti, non pretese spiegazioni. Non voleva umiliarsi.

Bianca rimase immobile. Come se il tempo si fosse fermato. Lo sposo parlava, gli ospiti ridevano, la musica suonava, ma lei fissava la schiena di suo padre che si allontanava. L’uomo che le aveva donato tutto, e lei… l’aveva rifiutato.

All’improvviso, le lacrime scoppiarono. Si lanciò fuori, lo raggiunse all’uscita.
— Papà, perdonami. Non so cosa mi sia preso… Sono stata stupida. Credevo di poter mettere qualcuno in imbarazzo. Ma ho messo in imbarazzo solo me stessa. Ti prego, perdonami. Sei la mia famiglia, sei la persona che amo di più.

Lui non disse nulla. La strinse solo forte. E in quel momento Bianca capì che nessun milione avrebbe sostituito quelle braccia. Che nella corsa alle aspettative altrui, aveva quasi perso la cosa più preziosa: l’amore di chi ti ama semplicemente per quello che sei. Sempre.

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