Mia figlia Ginevra è una tempesta in carne e ossa. Io e mio marito l’abbiamo cresciuta nella quiete della nostra casa alle porte di Verona, dove mai si sono alzate voci o litigi. Ma Ginevra ha ereditato il carattere di mia madre—esplosivo, fragoroso, testardo. La nonna otteneva sempre ciò che voleva, si offendeva per un nonnulla e non ascoltava nessuno. Ginevra, pur non avendola mai conosciuta, ne riflette i modi come uno specchio. E questo mi ha spezzato il cuore.
Ginevra non tollera critiche. Ogni consiglio le entra da un orecchio e le esce dall’altro, se non lo prende addirittura come un affronto. Io e mio marito abbiamo provato per anni a guidarla, ma parlare con lei era come parlare al muro. Già all’asilo sapeva manipolare le persone, ottenendo ciò che voleva con un sorriso da angelo. Ascoltava solo ciò che faceva comodo, ignorando il resto. Ogni osservazione la feriva, scatenando lacrime e scenate. L’adolescenza è stata un inferno. Temevo che finisse in cattiva compagnia, che fumasse o, Dio non voglia, restasse incinta. Non è successo, ma i nervi li ha messi a dura prova.
Quando finì il liceo, annunciò di essere adulta e di voler vivere per conto suo. Imbacuccò uno zaino e affittò un appartamento a Milano con un’amica. Abbandonò gli studi, convinta che fare soldi fosse più importante. Per due anni quasi non la vedemmo. Raramente rispondeva al telefono, mai veniva a trovarci. Invecchiavo dall’ansia, ogni notte aspettando una chiamata dall’ospedale o dalla polizia. Poi, tutto cambiò. Ginevra cominciò a passare da noi nei weekend, prima sporadicamente, poi più spesso. Bevemmo tè, evitando di parlare del passato, e io sperai che la tempesta si fosse placata.
Provai a insegnarle a cucinare, a gestire la casa, ma mi interrompeva brusca: «Lo so fare da sola!» Presto scoprimmo che Ginevra aveva un fidanzato—Lorenzo. Calmo, di buon cuore, sapeva placare i suoi scatti trasformando i litigi in battute. Con lui, sembrava felice, equilibrata. Si sposarono presto, e io sospirai sollevata, pensando che mia figlia fosse finalmente maturata. Che errore.
La loro idillio durò pochi mesi. La natura di Ginevra riprese il sopravvento. Dopo ogni litigio con Lorenzo, correva da noi a passare la notte. Sapendo quanto odiasse i consigli, restavo in silenzio, osservando da lontano. Una volta giurò che non sarebbe più tornata dal marito. Ma dopo due giorni si riconciliavano come nulla fosse. Tenevo la lingua a freno, temendo di rovinare la sua fragile felicità.
Ma la pazienza di Lorenzo non era infinita. Un giorno, tornata a casa dopo un altro litigio, Ginevra trovò un biglietto. Lorenzo se n’era andato, chiedendo il divorzio. Quel giorno, mia figlia cadde in un vero isterismo. Non solo il marito l’aveva lasciata, ma l’avevano anche licenziata. Per due settimane mi presi cura di lei come una bambina: cucinavo, parlavamo la sera per distrarla. Ma un giorno, entrando in casa, la vidi con una valigia in mano.
«È tutta colpa tua!» mi aggredì sulla soglia.
«Ciao, tesoro. Perché sei pronta a partire? Cosa ho fatto?» balbettai.
«Hai visto come Lorenzo mi trattava, potevi fermarlo!» urlò.
«Non hai mai voluto i miei consigli, dicevi che sapevi affrontare tutto da sola.»
«E tu invece hai solo guardato mentre il mio matrimonio finiva!» Ogni parola era un coltello.
«Non parlarmi così! Non ho colpa delle vostre liti. Siete adulti, avete scelto da soli. Io cosa c’entro?»
«Certo, tu non c’entri mai! Grazie per l’”aiuto”! Avevo ragione ad andarmene dopo il liceo. Peccato essere tornata!» Sgattaiolò via, sbattendo la porta con tale forza che i vetri tremarono.
Rimasi nel silenzio, stordita. Tutti quei giorni mi ero presa cura di lei, senza impicciarmi, come chiedeva. Eppure, ai suoi occhi, sono la causa di ogni male. La mia bambina non è mai cresciuta, cerca sempre qualcuno da incolpare. Il cuore mi si spezza sapendo che mi considera una madre incapace. Ma sono stanca di provare a convincerla. È la sua vita, faccia come crede. Ma perché fa così male?