Non ci fu matrimonio. Lo sposo non arrivò mai all’altare.
Quante bambine, fin da piccole, sognano un abito bianco, una coroncina di fiori, i brividi lungo la schiena alle parole «vi dichiaro marito e moglie»… Beatrice era una di loro. Cresciuta timida, sognatrice, con un cuore fragile. Quante volte aveva chiuso gli occhi davanti alle cerimonie nuziali in televisione, immaginando il giorno in cui anche lei avrebbe camminato a braccetto con l’uomo amato, tra musica, sguardi ammirati e un tremito nel petto.
Incontrò il suo Matteo all’università. Studiavano entrambi legge, ma in sezioni diverse. Lui, alto, biondo, atletico, con uno sguardo pieno di vita. Lei, elegante, slanciata, con un portamento regale e un sorriso dolce. Tutta la facoltà diceva che erano fatti l’uno per l’altro. Matteo non si staccava mai da lei. L’accompagnava a casa, le portava un caffè nelle mattine gelide, disegnava cuori sui suoi quaderni. Il loro amore sembrava uscito da un romanzo—puro, tenero, sincero.
Passò un anno, e lui le chiese di sposarlo. Alla laurea, le famiglie ormai si conoscevano, erano diventati amici, passavano le estati insieme in Toscana. Decisero di sposarsi subito dopo la fine degli studi. Tutto sembrava perfetto. Beatrice e le amiche trascorsero settimane a cercare l’abito giusto, sfogliando cataloghi, visitando atelier. Una notte, sognò un vestito—pizzo delicato, seta color crema, uno strascico lieve—e si svegliò con una certeza: «Deve essere mio».
Corse in un negozio con le amiche. La commessa, Elena, ascoltò la sua descrizione e sorrise.
«Qualcuno ha appena restituito un abito, esattamente come lo ha sognato. Vuole vederlo?»
Beatrice se ne innamorò al primo sguardo, senza nemmeno provarlo. Era come se fosse stato tessuto dai suoi sogni. Un’amica le sussurrò: «Elena ha detto che… il matrimonio della ragazza non c’è stato. Forse è meglio evitare?» Ma Beatrice non volle sentire ragioni. Se era destino, era destino. L’abito fu impacchettato, e lei attese il grande giorno con il cuore in gola.
La vigilia delle nozze, si chiuse in una stanza d’albergo per stare sola con i suoi pensieri. Indossò di nuovo il vestito, si guardò allo specchio. E per un attimo, le parve di vedere un nastro nero tra i suoi capelli. Un brivido la attraversò, ma lo scacciò, attribuendolo all’emozione.
La mattina, tutto filò liscio: trucco, acconciatura, l’abito… Beatrice era splendida come una regina. I genitori, entrando nella stanza, rimasero senza fiato. Mancava solo Matteo. Passò un’ora. Poi un’altra mezz’ora. Beatrice smise di sorridere. Dalla finestra, vide un’auto della polizia. Qualcosa dentro di lei si spezzò. Uscì nel corridoio, barcollando.
«Scusi… è Beatrice?» chiese un giovane agente. «Il suo fidanzato… Matteo… c’è stato un incidente. Un ubriaco ha invaso la corsia opposta. È morto all’istante.»
Beatrice non pianse. Si bloccò. Poi scivolò a terra, coprendosi il volto con le mani.
Tre giorni dopo, era al cimitero, con lo stesso abito ma un nero velo tra i capelli. Stringeva la loro foto insieme. La posò sulla bara, si chinò, baciò la fronte gelida dell’amato e sussur”Dopo un anno, il suo cuore smise di battere, dimenticando come vivere senza di lui.”