Abbiamo vissuto dieci anni insieme, ma a causa di mio padre ha preso i bambini ed è andata via…

Abbiamo vissuto insieme dieci anni, ma a causa di mio padre lei ha preso i bambini ed è andata via…

Ho trentaquattro anni. E sono solo. Completamente. Mia moglie se n’è andata. Ha portato con sé i nostri tre figli ed è partita per raggiungere sua madre a Salerno. Io resto in questa casa, che ho aiutato a costruire, ascoltando il ticchettio dell’orologio che scandisce il vuoto. Dieci anni insieme. Cosa potrebbe distruggere una vita così? Eppure ci è riuscito. Mio padre.

Conoscere Serena è stato un colpo di fortuna, come spesso accade al giorno d’oggi: sui social. Prima i messaggi, poi gli incontri, e dopo qualche mese il matrimonio. Tutto è successo in un vortice, come in un bel film. Ero davvero felice. Un anno dopo è nato Luca, il nostro primo figlio. Volavo dalla gioia. Non sentivo la fatica, non vedevo i problemi, vivevo solo per la famiglia.

All’epoca vivevamo con i miei genitori a Verona. E quello è stato il mio primo errore. Mio padre, anche se lavoratore instancabile, beveva troppo. Le sue esplosioni d’ira diventavano sempre più frequenti. Litigi, urla, umiliazioni: Serena sopportava tutto in silenzio. Io chiudevo gli occhi. Pensavo: passerà, ci abitueremo. Mia madre aveva già alzato le spalle davanti al comportamento di mio padre, ma per Serena era tutto nuovo e doloroso.

Una volta, ubriaco, le ha afferrato le braccia, iniziando a gridare sciocchezze. Lei si è liberata e mi ha chiamato in lacrime. Sono corso a casa. Un casino. Urla. Alla fine, mio padre ci ha cacciati. Noi, con un neonato tra le braccia, per strada. Serena non ha protestato. Siamo andati da sua madre.

Ma nemmeno lì, a Palermo, abbiamo trovato pace. Mia suocera… una donna complicata. Uomini sempre nuovi, rumori, litigi. Serena faticava ad abituarsi, e io ancora di più. Ma non avevamo alternative. Serena aspettava già il secondo figlio. È nato Matteo, il nostro secondo bambino. Vivace, sorridente, con quel sorriso che gli illuminava il viso. Mentre lei stava a casa con i bambini, io lavoravo due turni per mantenere la famiglia.

Abbiamo vissuto in quell’appartamento quasi tre anni. Poi mia suocera ci ha cacciati. Senza mezzi termini: «Non mi piaci. Andatevene». Serena è venuta via con me. Abbiamo affittato una casa e finalmente respirati. Senza genitori, senza regole altrui, per la prima volta ci siamo sentiti una vera famiglia. E vivevamo bene. Anche se faticosamente. I soldi bastavano a malapena, io tiravo avanti da solo, Serena lavorava da casa. Ma eravamo insieme. E questo ci bastava.

Poi mia madre ha deciso di costruire una casa alle porte di Firenze. Sognava una grande dimora per tutta la famiglia. Ci ha invitati, promettendo che sarebbe stato diverso. Ci abbiamo creduto. Abbiamo contribuito alla costruzione con le mani, il tempo e i soldi. Dopo due anni siamo entrati. Una casa a due piani, spazio per tutti: genitori e noi. Vivevamo in pace, e poi è nato il terzo figlio, Davide.

Ma la tranquillità è durata poco. La madre di Serena ha venduto il suo appartamento ed è partita per Roma, dal fratello di lei. Di passaggio, è venuta da noi “per poco”. È rimasta. Ha portato un altro uomo a casa. E così sono ricominciate le critiche, i pettegolezzi, i rimproveri. Serena era nervosa, esplodeva. Mio padre ha ricominciato a bere. Io intanto avevo cambiato lavoro e viaggiavo spesso. Tornavo a casa una volta ogni due settimane. E in quel tempo, lì dentro, il caos cresceva.

Tornato da un viaggio, ho trovato Serena che faceva le valigie. Piangeva. Mi ha detto: «Non ce la faccio più. Tuo padre ha ricominciato a urlare, dicendo che so solo partorire. Mi ha insultata… E tu dov’eri?»

Sono rimasto di pietra. Poi ho guardato mia moglie uscire di casa con i nostri tre figli. Se ne andava. Se ne andava come se non ci fosse un domani. Ma sapevo bene dove andava: dalla madre. Proprio colei che non faceva altro che metterla contro di me.

La chiamo ogni giorno. La supplico di tornare. Piego nella cornetta. Lei risponde fredda: «Non tornerò mai in quella casa». So di aver sbagliato. Avrei dovuto tracciare un confine. Proteggerla. Invece ho scelto il conforto e il tetto dei miei genitori, sacrificando la serenità di mia moglie.

Ora penso: forse potremmo affittare di nuovo una casa. Ricominciare da zero. Riavere lei e i bambini. Costruire tutto da capo, ma solo noi due. Senza altri. Senza alcol. Senza suocere, senza scandali.

Non so se mi perdonerà. Se tornerà. Ma una cosa la so: non voglio perderla. Abbiamo vissuto dieci anni insieme. Era la mia vita. Adesso non c’è più. E in questa casa, con lei, è scomparso anche il mio respiro.

La vita insegna che a volte la famiglia non è un luogo, ma le persone che scegliamo di amare e proteggere. E quando dimentichiamo di metterle al primo posto, rischiamo di perderle per sempre.

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