Non chiamarmi mamma — mi fai sembrare vecchia!” Come una donna ha rinunciato alla figlia e al futuro nipote per un’apparente giovinezza

“Non chiamarmi mamma, mi fai sentire vecchia!” Come una donna ha rinunciato a sua figlia e al futuro nipote per un’illusione di giovinezza

È da un mese che vacilla. Offesa, furiosa, sola. Si è chiusa in sé dopo che l’ha lasciata l’ultimo amante. Eppure, ci aveva creduto davvero, questa volta sarebbe stato diverso, pensava di aver trovato la felicità.

Io ho 26 anni, lei si chiama Simona e ne ha 44. Biologicamente, è mia madre. Ma nella realtà, siamo due estranee. Si è sposata con mio padre a diciannove anni. Dopo un anno sono nata io, una figlia non voluta, come ha ripetuto più volte. Si sono lasciati subito dopo la mia nascita, e da allora non ha fatto altro che definirlo “fannullone” e “fallito”.

L’ironia? Quel “fallito” da più di vent’anni vive con la sua seconda moglie. Ha un’azienda di successo, una villa in campagna vicino a Milano, due appartamenti e persino una casa in Sicilia. È stato lui a regalarmi la casa per il mio matrimonio, dove ora vivo con mio marito.

Sono cresciuta con mia nonna, la madre di mio padre. Poi lui mi ha portato con sé nella sua nuova famiglia. E sai una cosa? Non mi sono mai sentita fuori posto. La mia matrigna è una persona splendida, per me è diventata una vera madre. Simona, invece, l’ho sempre chiamata per nome. E non per caso.

Avevo nove anni quando mi portò a Rimini per “una vacanza tra madre e figlia”. Io dissi solo: “Mamma, andiamo in spiaggia?” E lei mi rispose urlando così forte che tutto l’albergo la sentì:

“Non chiamarmi mai più mamma! Mi fa sentire vecchia! Dimmi Simona, hai capito?”

Avevo capito. Da allora, non ho più viaggiato con lei. A lei interessavano gli uomini, i centri estetici, le feste. Io restavo con nonna, poi con mio padre e la sua nuova famiglia. E ringrazio il cielo.

In questi anni, Simona ha avuto cinque mariti. Tra un matrimonio e l’altro, amanti, serate folli, sorrisi falsi e ciglia finte. Lavorava in un salone di lusso a Roma Nord. Si iniettava di tutto: botocs, filler, fili, labbra… Il suo viso non esprimeva più emozioni, eppure continuava a ripetere: “Sono ancora giovane, posso farcela!”

L’ultimo “principe azzurro” era più giovane di me di due anni. Un ragazzo di nome Luca, magro, tatuato, che faceva il barista in un locale alla moda.

“Tesoro, ti presento Luca. Ci sposiamo. È la storia seria”, mi disse raggiante, come una ragazzina alla vigilia del ballo.

Io rimasi immobile. Poi sussurrai:

“Simona… sono incinta. Diventerai nonna.”

Luca si agitò, stappò lo spumante, gridò “Evviva!”, mentre mia madre impallidì. Senza dire una parola, afferrò la borsa, sbatté la porta e se ne andò chissà dove.

Passò una settimana. Riapparve all’improvviso, in lacrime, con il viso distorto:

“È colpa tua! Mi ha lasciato! Hai rovinato tutto con quel ‘nonna’! Io non voglio invecchiare! Ho solo 37 anni! Voglio vivere, e tu mi trascini nella tomba con i tuoi figli!”

Non credevo alle mie orecchie. La donna che mi aveva messa al mondo definiva la mia gravidanza un tradimento. Poi lanciò l’ultima frase, che bruciò quel poco che restava del nostro legame:

“Non ho mai avuto una figlia. E non avrò nipoti, né pronipoti. Dimenticati che esisto.”

E se ne andò.

Noi, invece, andammo dalla nostra vera famiglia: nonna e nonno. Ci abbracciarono, piansero di gioia. Già discutevano su come chiamare il bambino, chi avrebbe portato a spasso il passeggino, chi avrebbe lavorato a maglia le scarpine. Loro sono la mia roccia, il mio sostegno, la mia realtà.

E Simona? Che insegua l’eterna giovinezza. Ma un giorno si sveglierà nel silenzio, in un appartamento vuoto, in un corpo che non riconosce, davanti a uno specchio che non riflette più nulla. Forse allora capirà chi ha davvero perso.

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