**Eco del Passato: La Tragedia di Giulia Rossi**
Giulia Rossi si trovava di fronte alla porta scrostata di un palazzo, stringendo tra le dita tremanti una busta. La torre di nove piani nel quartiere periferico di Bellagio le sembrava estranea, quasi provenisse da un altro mondo. Eppure, lassù, al quarto piano, viveva suo figlio. Trent’anni prima aveva lasciato lui—un bambino con un ciuffo ribelle—e ora aveva trentacinque anni.
*”Stupido,”* sussurrò, osservando le finestre opache. *”Assolutamente senza senso.”*
Sulla panchina vicino all’ingresso, alcune anziane chiacchieravano spettegolando. Una di loro la chiamò:
*”Cercate qualcuno, cara?”*
*”Daniele… Daniele Romano,”* la voce di Giulia si incrinò. Quel nome suonò come un’eco lontana.
*”Daniele? Che bravo ragazzo, educato, saluta sempre. Voi chi siete per lui?”*
Giulia non rispose, affrettandosi verso il portone. Chi era per lui? Una madre che non lo vedeva da trent’anni? Una sconosciuta con lo stesso cognome? Nell’ascensore tirò fuori uno specchietto. Capelli grigi, rughe attorno agli occhi—a cinquantasei anni, il tempo non si nasconde. Si chiese se ricordasse il suo volto o se nella sua memoria fosse rimasto solo un’immagine sfocata.
Quarto piano. Appartamento a sinistra. Sicuramente sposato—alla sua età, era inevitabile. Alzò la mano verso il citofono, ma le dita tremarono. Rimase immobile per un minuto, due, cinque. Alla fine, senza coraggio, scese e infilò la busta nella cassetta delle lettere.
*”Daniele. So di non avere il diritto di chiedertelo. Ma dammi la possibilità di spiegarmi. Mamma. Chiamami, ecco il mio numero…”*
*Mamma.* Che strano suonava questa parola, dopo trent’anni. Giulia tornò all’auto e vi rimase fino a sera, osservando l’ingresso. Poi lo vide—un uomo alto con una cartella, uguale al padre. Era lui. Accanto a lui, una giovane donna con le buste della spesa, probabilmente la moglie. Ridevano, parlavano di qualcosa. Una famiglia normale, una serata normale. Aveva letto la lettera? L’avrebbe chiamata?
Il telefono suonò mentre stava per partire. Era Vittorio, il suo ex marito.
*”Perché sei venuta?”* la sua voce, così familiare, era fredda.
*”Vittorio…”*
*”Non iniziare. Dimmi solo: perché?”*
*”Voglio vedere mio figlio,”* rispose Giulia, la voce rotta.
Lui sbuffò, e in quel suono c’era tutto il disprezzo possibile.
*”Tuo figlio? Trent’anni di silenzio e adesso ti viene in mente?”*
*”Tu non capisci…”*
*”No, sei tu che non capisci,”* la sua voce si fece più bassa, ma più dura. *”Dov’eri quando si ammalava? Quando lo bullizzavano a scuola? Quando si iscriveva all’università? Dov’eri tutti questi anni?”*
Giulia tacque. Cosa poteva dire?
*”Mi ha chiamato. Ha detto di aver buttato via il tuo biglietto,”* aggiunse Vittorio. *”Vattene, Giulia. Sei in ritardo. Di trent’anni.”*
Il segnale di occupato le trafisse il cuore. Giulia fissò le finestre buie. Le tornò in mente Daniele piccolo, che la chiamava di notte. Come lo cullava, cantandogli una ninna nanna… Perché era andata via? Perché non aveva lottato per lui?
Il giorno dopo tornò. Attese che Vittorio uscisse per lavoro e lo seguì. Parcheggiò vicino al suo ufficio, entrò dopo di lui. Non era cambiato—stessa postura, stesso sguardo acuto. Solo le tempie erano grigie.
*”Ti avevo detto di andartene,”* disse, vedendola.
*”Vittorio, ti prego. Voglio solo parlargli. Spiegare…”*
*”Cosa spiegare?”* fece una smorfia, come se provasse dolore. *”Che sei scappata con un altro uomo? Che ti sei rifatta una vita? Che ci hai dimenticato?”*
*”Non è vero!”* le lacrime sgorgarono. *”Ho pensato a lui ogni giorno!”*
*”Pensato?”* rise amaramente. *”Io l’ho cresciuto. Da solo. Ho vegliato su di lui quando era malato. L’ho accompagnato a scuola. Gli ho insegnato a essere un uomo. Tu hai pensato.”*
Giulia chinò il capo. Nell’ufficio c’era silenzio, solo il ticchettio di un orologio.
*”Sai cosa mi chiedeva da bambino?”* Vittorio abbassò la voce. *”Papà, perché la mamma non mi vuole bene? Cosa dovrei rispondere?”*
*”Io gli volevo bene! Gliene voglio!”* Giulia singhiozzò.
*”No, Giulia. Tu volevi bene a te stessa. Alla tua libertà. Ai tuoi sogni. A lui, no.”*
Uscì dall’ufficio, barcollando. In auto, le mani tremavano così forte che non riusciva ad accendere il motore. Davanti a sé vedeva Daniele piccolo, che chiedeva perché la mamma non lo amava. Come aveva potuto?
Quella sera tornò a casa sua. Vide nel cortile la moglie di Daniele—la riconobbe dalla sera prima.
*”Scusate!”* gridò, la voce rotta. *”Posso parlarvi un attimo?”*
La donna si voltò, lo sguardo diffidente.
*”Chi siete?”*
*”Io…”* Giulia esitò, le parole le bruciavano la gola. *”Sono la madre di Daniele.”*
*”Ah, quella madre,”* rispose, il tono amaro.
*”Per favore, devo parlare con lui.”*
*”Per cosa?”* scosse la testa. *”Per farlo soffrire di nuovo?”*
*”No, io…”*
*”Sapete,”* aggiustò la borsa sulla spalla, *”lui non parla mai di voi. Mai. È come se non esisteste. E al vostro posto…”*
*”Elena! Dove sei rimasta?”* una voce la interruppe.
Entrambe trasalirono. Davanti al portone c’era Daniele—alto, spalle larghe, identico a Vittorio da giovane. Le fissò accigliato.
*”Daniele!”* Giulia fece un passo avanti, il cuore in gola. *”Daniele, sono io…”*
Lui la guardò freddo, come se fosse un’estranea.
*”So chi siete,”* disse calmo. *”E non voglio parlarvi.”*
*”Figlio mio…”*
*”Non mi chiamate così,”* la voce si fece tagliente. *”Mi avete abbandonato. Non ero importante per voi. Adesso voi non lo siete per me.”*
*”Lasciami spiegare!”*
*”Cosa c’è da spiegare?”* sorrise amaramente, come Vittorio. *”Come siete scappata per una nuova vita? Come vi siete risposata? Come non avete mai chiamato in trent’anni?”*
*”Ho chiamato! Il primo anno…”*
*”Il primo anno,”* annuì. *”E dopo? Dov’eravate quando avevo cinque anni? Dieci? Quindici? Dov’eravate alla mia laurea? Al mio matrimonio?”*
Ogni parola era un colpo. Giulia tacque, ingoiando le lacrime.
*”Tra poco avrò un figlio,”* indietreggiò verso la porta. *”Io non potrei mai abbandonarlo. Mai.”*
*””E poi chiuse la porta, lasciando Giulia sola con il peso di trent’anni di silenzio.”