**Traditore o fedeltà salvata**
— Ho deciso, mamma! Basta così! — Marco fissava il muro con lo sguardo duro, le labbra serrate.
— Tu… sei un traditore, Marco! — la voce di sua madre tremava, carica di disperazione e rimprovero.
— Traditore?! Io?! — il ragazzo sembrò soffocare dall’indignazione, poi si girò di scatto e uscì dalla stanza sbattendo la porta.
Si gettò sul letto, nascondendo il viso nel cuscino. La rabbia ribolliva dentro di lui, ma presto fu sostituita dai ricordi — caldi, profumati di estate e felicità.
Quando Marco compì otto anni, suo padre gli regalò la bicicletta dei sogni: blu elettrico, da trick, luccicante. Il ragazzino ne era pazzo: dalle prime luci dell’alba al tramonto sfrecciava con gli amici nel cortile, dimenticando tutto. Persino che anche il papà presto avrebbe compiuto gli anni. Glielo ricordò il nonno.
— Marcolino, hai già pensato al regalo per tuo padre? — chiese piano, mentre sedevano insieme sulla veranda.
— No, nonno… non ci ho nemmeno pensato…
— Niente paura. Se vuoi, lo facciamo insieme. Ho un’idea.
Per due settimane lavorarono a un portachiavi di legno. Tagliavano, bruciavano, levigavano, avvitavano i ganci. Marco lavorava accanto al nonno, lasciando persino la bicicletta a prendere polvere in un angolo.
Il giorno del compleanno, il padre era particolarmente allegro e misterioso. Ringraziò per il regalo, abbracciò il figlio e il nonno. Poi, tra le risate di tutti, portò dalla veranda un cestino di vimini.
Dentro dormiva un cucciolino. Nero, paffuto, col pelo lucido.
— Vi presento Fulmine. È il mio regalo. Un sogno d’infanzia.
— Sandro, sei impazzito! — esclamò la mamma. — Un cane?!
— Ma guardalo, sembra un orsacchiotto! — rise il padre, e il suo sorriso felice, quasi infantile, disarmò tutti.
Fulmine fu subito amato. Un bullmastiff che cresceva a vista d’occhio. Diventò forte, dal petto largo, calmo e buono. Adorava il padre: lo seguiva ovunque, lo proteggeva, lo accompagnava. E poi… un giorno lo salvò.
Una sera tarda, due uomini aggredirono il padre nel parco. Coltello, minacce. E all’improvviso sbucò Fulmine — nero come la notte, minaccioso come un’ombra. La sola vista del cane li fece indietreggiare.
— Se avessero saputo che non farebbe male nemmeno a una mosca… — raccontò poi il padre ridendo.
Ma il peggio arrivò dopo. La malattia. Leucemia. In pochi mesi, il padre si spense come una candela al vento. Marco aveva solo dodici anni. E Fulmine divenne la sua ombra.
Oggi Marco ne ha quindici. Un anno prima, nella loro vita era entrato Riccardo. Un uomo perbene, rispettoso. Ma quando si trasferì da loro, si scoprì che era gravemente allergico ai cani.
La mamma cercò di smussare la situazione, ma poi si fece diretta: «Dobbiamo dare via Fulmine». Perché Riccardo era famiglia ora. E il cane… Marco ascoltava senza crederci. Si può tradire chi non ti ha mai tradito?
Fece il giro degli amici, offrendo Fulmine — niente da fare. Un vecchio bullmastiff non interessava a nessuno. Darlo al nonno? Impossibile: l’anziano faceva fatica anche a camminare, figurarsi a badare a un cane…
— Non lo mando in un canile! — disse Marco il giorno del confronto decisivo.
— Ma Riccardo è uno di noi ora… — la mamma piangeva. — Preferisci il cane a una persona?
— Preferisco Fulmine a Riccardo, sì, — sospirò Marco. — Perché lui è la mia famiglia. Fulmine era la famiglia di papà. E la mia. E anche la tua, mamma. Andrò a vivere con lui dal nonno. Non saremo d’intralcio.
— E io? Divisa tra due case? Lavoro, Marco…
Lui indicò silenzioso il portachiavi che aveva fatto col nonno. Sopra pendeva il guinzaglio di Fulmine.
— Ho già deciso.
— Traditore! — sussurrò lei, la voce spezzata.
Più tardi, fu il nonno a chiamare la mamma.
— Lidia, lascialo venire da me. C’è la scuola online. E io, a dirla tutta, sto meglio con mio nipote. E Fulmine rimane con noi. Non è mica la prima volta che viviamo insieme…
E persino Riccardo intervenne:
— Lidia, lascialo andare. È un ragazzo grande. E il cane starà bene. Perché soffocarlo?
Marco arrivò con Fulmine e una borsa da palestra. Il cane, sbuffando felice, si acciambellò subito davanti alla tv del nonno. Tutto tornò al suo posto.
Poi, un giorno, il nonno chiamò — la voce era flebile, preoccupata.
— Marcolino, sento che il cuore mi stringe. Vieni…
Marco lasciò le lezioni, corse a casa. La vicina aveva già chiamato l’ambulanza, ma restava al fianco del nonno, guardando l’orologio con ansia.
— Grazie, signora Rosalia. Adesso ci pensiamo noi.
L’ambulanza arrivò in breve. Il medico fece un’iniezione. La giovane infermiera, di nome Beatrice, esitò sulla soglia guardando Fulmine.
— Non abbia paura, è buono, — disse Marco in fretta.
— Non ho paura, — sorrise Beatrice, entrando.
Il medico prescrisse le cure e suggerì di fare le flebo a casa.
— C’è qualcuno che può aiutare?
— No… — Marco scosse la testa smarrito.
— Beatrice, ti occupi tu? — chiese il dottore.
— Certo. Purché la bestiola non mi mangi.
Strizzò un occhio al cane. Fulmine la guardò di traverso, ritirò la lingua e parve annuire. Così iniziò la storia.
Beatrice venne ogni giorno. Marco cominciò ad accompagnarla. Poi a passeggiare insieme. Poi a fermarsi nel parco. Le loro chiacchiere si facevano più lunghe, più dolci, più importanti…
E poi nacque Luca.
Fulmine accolse Beatrice al rientro dall’ospedale come un membro della famiglia a pieno titolo. Abbandonò il suo posto davanti alla tv per un tappeto accanto alla culla del bambino. Lo sorvegliava, brontolava se il piccolo si svegliava. Dormiva accanto a lui. Era sempre lì. Sempre.
Luca imparò a camminare reggendosi al suo collare.
Fulmine compiva tredici anni. Respirava affannosamente, ma seguiva paziente il bambino. Vecchio, saggio, stanco, ma fedele come sempre.
Una volta, Beatrice corse al supermercato — latte, pannolini. Luca dormiva, il nonno era in casa.
— Non preoccuparti, — disse il nonno, Ivan. — Ce la si— Ma tra una corsa tra gli scaffali e la cassa, il cuore di Ivan decise che era ora di riposare, mentre Fulmine, con un ultimo sospiro soddisfatto, si distese accanto a lui per sempre.