La sorpresa con fuoco: come Sandrino quasi incendiò la casa per l’8 Marzo
Il mondo nell’appartamento di Elisabetta esplose ancor prima che varcasse la soglia. L’odore di fumo pervadeva il palazzo, l’acqua saponata scendeva lungo le scale e l’aria era tesa, come se volesse sussurrarle: «Non entrare… Meglio girarci intorno». Ma Elisabetta, donna temprata, direttrice di un’azienda importante, non era tipo da tirarsi indietro.
Spinta la porta, posò sul mobiletto il mazzo di fiori ricevuto al banchetto aziendale, si sfilò le scarpe come per liberarsi del peso della giornata e infilò le pantofole. Anche se, vista l’alluvione in casa, gli stivali di gomma sarebbero stati più adatti. Dentro l’appartamento qualcosa ribolliva, sbatteva, fumava. E in un angolo, il gatto ululava disperato.
«Sandrino?! Ma che diavolo sta succedendo?!» urlò lei, avanzando tra vapori e l’odore di grasso bruciato.
Il marito emerse dalle profondità della casa. In mutande, a piedi nudi, la faccia graffiata e sporca di fuliggine, un occhio nero e un asciugamano avvolto intorno alla testa come un tuareg nel deserto. Sembrava aver combattuto non con i preparativi per la festa, ma con i lanciafiamme a El Alamein.
«Elisabetta… credevo tornassi più tardi… il banchetto, di solito tu sei l’ultima a uscire…»
Elisabetta, senza neppure scomporsi, si sedette sullo sgabello, chiuse gli occhi e disse con fermezza:
«Racconta. Tutto. E senza “amore mio” o “non ti preoccupare”. Mi sono preoccupata quando negli anni Novanta i racket mi minacciavano. Mi sono preoccupata quando l’azienda era sul baratro. Da allora, il panico non è più mio. Ora dimmi cos’hai combinato.»
Sandrino deglutì.
«Volevo farti una sorpresa. La festa… tu sei il mio oro, te lo meriti… Ho deciso di pulire, lavare i panni, cuocere la vitella, strofinare i pavimenti…»
«La vitella?» precisò Elisabetta.
«No, la lavatrice… ha iniziato a perdere. Non subito. Prima ho messo la vitella nel forno, poi sono andato in bagno, poi alla lavatrice. E lì… c’era il gatto.»
«Il gatto è vivo?»
«E certo!» si offese Sandrino. «Solo un po’ bagnato. E nervoso. Giuro, quando ho acceso la lavatrice non c’era. Poi… è entrato.»
«Entrato?! In una lavatrice CHIUSA?!»
«Forse si è infiltrato…»
Elisabetta si coprì il viso con le mani.
«Va bene, continua. Ma fammi vedere il gatto. Voglio essere sicura che almeno lui sia sopravvissuto.»
«Ehm… è in salotto. Lì… legato. Per la sua sicurezza. E per farlo asciugare.»
«Ha ancora tutte le zampe?»
«Sì, tutte e quattro. Solo… immobilizzate. Temporaneamente.»
«E poi?»
«Stavo lavando, sento odore. Penso: qualcosa brucia. Apro il forno e la carne è carbonizzata. Ho versato dell’olio ed è divampato. Mi sono bruciato le sopracciglia. Il gatto ha urlato. Corro alla lavatrice, ma non si apre. E il gatto dietro il vetro… occhi da demonio. Urla! Io sono tra l’inferno del forno e quello della lavatrice. Prendo un piede di porco. Lo rompo. Il gatto scappa e inizia il delirio…»
«Madonna…» sussurrò Elisabetta.
«Ha rotto due vasi, sporcato il tappeto, strappato le tende, graffiato la carta da parati, fatto cadere lo spumante, i vicini minacciavano di chiamare i carabinieri e una strega. Io l’ho preso e legato. Per asciugarlo. A te, Elisabetta, volevo fare una sorpresa…»
Elisabetta si alzò. Entrò in salotto. La scena avrebbe fatto venire un infarto a una donna sensibile, ma non a lei. Il gatto—legato al termosifone, con la faccia avvolta in una sciarpa, il fumo nell’aria, pozze d’acqua, vetri rotti. Tutto come in un documentario di guerra. Sandrino la seguiva, cercando di spiegare:
«Non voleva stare fermo! Volevo che si asciugasse. E che non miagolasse… gli ho coperto la bocca. Ma sta bene!»
Elisabetta slegò il gatto, lo asciugò con l’asciugamano di Sandrino, lo strinse.
«Sei un maledetto, Sandro. Poteva soffocare. Dopo la lavatrice, però, ormai niente lo spaventa.»
Seduta sul divano col gatto, guardò il marito:
«Allora?»
«Cosa “allora”?» si abbatté lui. «Devo impiccarmi ora o dopo?»
«Augurami buona festa, scemo. Oggi è l’8 Marzo.»
Sandrino si illuminò, sparì dalla stanza e tornò un minuto dopo con aria solenne, inginocchiandosi davanti a lei.
«Elisabetta, sole mio. Trent’anni insieme e non smetto di ammirarti. Sei forte, bella, paziente e amatissima. Buona festa della donna!»
Le porse una scatolina con un anello e un mazzo di fiori malconcio.
«Erano belli… finché il gatto… hai capito…»
Elisabetta sospirò, annusò le rose.
«Profumano ancora. E, miracolo, non di bruciato. Sandrino, basta esperimenti. Solo fiori. Solo un abbraccio. Senza incendiare casa. Va bene?»
«Volevo solo qualcosa di speciale. Al lavoro ti regalano capolavori, io… volevo farlo con il cuore. Con passione. Ed è finita così…»
«Ed è finita così,» sorrise Elisabetta. «Con il cuore e con il fuoco. E pure con la minaccia dei pompieri. Andiamo. Salviamo la casa. Chiediamo scusa ai vicini. O chiameranno davvero una strega. Anche se magari ha un Sandrino tutto suo… altrettanto geniale. Chissà cosa combina.»
In quel momento, il gatto sbadigliò, avvolse la coda attorno alla gamba di Elisabetta e, quasi in segno di solidarietà, soffiò teatralmente verso Sandrino. La festa era riuscita. Per sempre.