«I nostri figli non sono venuti al nostro anniversario: l’inizio di una nuova vita e la riscoperta della felicità»

Da quel giorno in cui Giulia si era sposata, erano passati tanti anni. E con ogni stagione che volava via, tra noi si allargava un vuoto sempre più profondo. Pareva che ci avesse cancellati dalla sua esistenza. Le telefonate si facevano rare, le visite ancora di più. E quando ci incontravamo, i suoi occhi erano freddi, distanti.

Quel venerdì esitai a lungo prima di comporre il suo numero. Io e Vittorio avevamo programmato una modesta celebrazione per il nostro anniversario — trent’anni di vita insieme. Desideravo solo riunire la famiglia, fare una grigliata, sedersi a tavola tutti insieme. Cercavo calore, voci care, anche solo per qualche ora…

«Pronto?» finalmente rispose Giulia, affannata.

«Giu, sono la mamma. Di nuovo in palestra? È un buon momento per parlare?»

«No, mamma, sto lavando la macchina a Paolo.»

«E perché devi farlo tu?»

«E chi altro, mamma? Portarla all’autolavaggio costa troppo. Non sono di cristallo, sai.»

«Va bene, piccola… Volevo chiederti — venite domenica da noi, con Paolo. Io e papà festeggiamo l’anniversario. Chiacchieriamo un po’…»

«E perché improvvisamente avete deciso di festeggiare?» rise ironica. «Vecchiaia e follia vanno a braccetto?»

«Trent’anni, Giu. Come non festeggiarli?»

«Scusa, mamma. Non possiamo. Siamo invitati a un matrimonio — l’amico di Sandro si sposa. Il matrimonio è uno solo, voi avrete altri anniversari.»

Stringevo il telefono, cercando di nascondere la rabbia che ribolliva dentro.

«Peccato… Noi speravamo…»

«Anche noi, mamma. Ma come si fa a dire di no? Non offenderti, vi faremo gli auguri più tardi.»

«D’accordo,» sussurrai, «chiamerò tuo fratello.»

Anche Massimo non poteva. Aveva altri impegni. Quando riagganciai, le lacrime scesero da sole. Come una bambina a cui era stato negato un dolce. Come una madre dimenticata.

«Ninetta, che succede?» entrò Vittorio e mi vide piangere in silenzio in cucina.

«Niente, Vitto… Solo che i ragazzi non verranno. E io, sciocca, sognavo di riunirci tutti…»

«Su, basta. È il nostro giorno. Io e te — e questo basta.»

Di notte non riuscivo a dormire. Il risentimento mi soffocava. Dentro di me urlava: «Perché? Perché non sono più importante per loro? Non abbiamo fatto abbastanza? Li abbiamo cresciuti, dati loro case, aiutati ogni volta che potevamo… E ora siamo stranieri…»

«Nina,» sussurrò Vittorio, «hanno la loro vita. Ma tu hai me. E io sono qui.»

«Ma io mi sento vuota, Vitto…» riuscii a dire. «Tu al lavoro tutto il giorno, e io sola…»

Il giorno dopo tornò prima del solito. Sorrideva.

«Che c’è?»

Tirò fuori da dietro la schiena un enorme mazzo di fiori.

«Questi sono per te. E domani partiamo per il lago. Una settimana. Solo tu e io.»

La casetta era come una favola: di legno, con vista sull’acqua, fiori tutt’intorno, canti di uccelli. Al mattino mi svegliai con un profumo dolce — il letto era cosparso di petali. Palloncini colorati ovunque, e allo specchio la scritta: «Buon anniversario, amore mio!»

A stento trattenni le lacrime di gioia. Quando guardai fuori dalla finestra — vidi Vittorio con una cesta in mano. Si avvicinò, la aprì, e un debole «miao» uscì da dentro. Un piccolo batuffolo rosso, peloso e buffo, mi fissava con occhi curiosi.

«Allora, accetti il nuovo membro della famiglia?» sorrise, come un ragazzino.

«Vitto… Questo è il regalo più bello della mia vita…»

Passammo una settimana come in una seconda luna di miele. Sette giorni, ma i ricordi sarebbero durati una vita intera. E al nostro ritorno, i telefoni squillarono senza sosta.

«Mamma! Dove siete stati?! Vi abbiamo cercato! Il telefono non rispondeva!»

«Tranquilla, cara. Io e papà ci siamo presi una pausa. Abbiamo anche noi il diritto di vivere per noi stessi, no?»

«Certo… Ma tu non chiamavi, non ti preoccupavi…»

«Ora tocca a te preoccuparti. Io e papà abbiamo deciso di vivere per noi.»

«Per voi? Mamma, dici sul serio?»

«Io e tuo padre siamo in luna di miele. E ora non abbiamo tempo per voi.»

È passato un anno. Io e Vittorio viviamo in modo nuovo. Lui ha lasciato il lavoro, siamo più frugali, ma più felici. I ragazzi sono diventati più presenti, chiamano, vengono a trovarci. E noi ci guardiamo — e ringraziamo il destino per non averci lasciati dimenticare. Per averci ricordato che nella vita, l’unica cosa che conta davvero — siamo NOI.

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