Il borgo di Fontechiara, nascosto tra infinite distese di campi e boschi di querce nella campagna toscana, respirava silenzio. La brezza serale sussurrava tra le foglie, mentre i lampioni illuminavano debolmente le stradine acciottolate. Giulia stringeva la borsetta tra le mani mentre si avvicinava alla trattoria dove avrebbe dovuto festeggiare il suo compleanno. Invece di voci allegre, udì però un sussurro traditore che le strinse il cuore in una morsa.
“Lascia perdere questa festa,” disse distrattamente Matteo, chinandosi all’orecchio di Lucia, la migliore amica di Giulia. “Vieni da me. Tanto Giulia non tornerà prima di notte.” La sua voce era intrisa di compiacimento.
“Sì, certo,” rispose Lucia con una risatina beffarda. “E quando tornerà? Dovrò scappare dalla finestra?”
“Perché dalla finestra?” Matteo le cinse la vita, il tono carico di sicurezza. “Se tu dici di sì, caccio via Giulia. Non ha posto nella mia vita.”
Giulia si bloccò, come colpita un fulmine. Conosceva Lucia—lei non si era mai fatta problemi con le piccole avventure. Ma Matteo… Tre anni insieme. Tre anni in cui aveva aspettato che le mettesse un anello al dito. Vivevano nel suo appartamento nuovo, comprato con un mutuo. Lei si era occupata di tutto—ristrutturazione, bollette, debiti. L’aveva considerata una fase passeggera, credeva che il matrimonio fosse solo una formalità. Ma ora il velo era caduto. Per lui era solo una compagna comoda, un ponte per superare i guai finanziari. Una famiglia insieme? Non sarebbe mai successo.
Sei mesi prima era morta sua madre. Matteo l’aveva lasciata di stucco con la sua freddezza. Non era venuto al funerale, non l’aveva aiutata con le pratiche, le aveva solo detto con indifferenza: “Vendi qualcosa. Sai, ho il mutuo, la ristrutturazione. Magari i parenti ti prestano qualcosa. Quando avrai venduto la casa, salderai i conti.”
“Salderai i conti”—quelle parole l’avevano ferita come un coltello. Ma allora Giulia aveva trovato scuse per lui: era stanco, aveva parlato senza pensarci. Le piaceva quel suo carattere cupo e silenzioso. “Un uomo che tiene tutto dentro non tradisce,” vantava con le amiche. Lucia rideva con loro, nascondendo i suoi piani. Ora la verità era venuta a galla, e Giulia, soffocando dal dolore, cominciò ad agitare le mani disperatamente verso i taxi che passavano. La macchina si fermò, lei vi si infilò dentro, sbattendo la portiera.
“Più veloce, più veloce!” gridò all’autista, come se stesse fuggendo da qualcuno.
Prima ancora che l’auto partisse, il telefono squillò. Era Matteo.
“Dove sei? Sono qui come un idiota, tutti ti cercano! Che succede?” La sua voce era piena di falsità.
Giulia spense il telefono e, furiosa, lo lanciò fuori dal finestrino. Le lacrime le scendevano a fiumi, singhiozzava come una bambina a cui hanno portato via tutto. L’auto correva, e improvvisamente Giulia si rese conto di non aver detto l’indirizzo.
“Dove stiamo andando?” chiese, la voce tremante.
“A casa,” rispose calmo l’autista.
Giulia guardò fuori: la macchina sfrecciava lungo una strada di campagna, lontano dalla città.
“A casa? Dove?” Il cuore le batteva forte dalla paura.
“Devo dirti l’indirizzo?” Nell’autista c’era una risataccia, greve e minacciosa.
“Fermi! Subito!” urlò Giulia, sopraffatta dal panico.
“In mezzo ai campi?” Rise l’autista. “E tu cosa ci faresti?”
“Chiamo la polizia!” sbottò, ma poi ricordò di non avere più il telefono. Aveva raccontato tutto a quel perfetto sconosciuto—il tradimento, il suo dolore. Lui sapeva che nessuno l’avrebbe cercata. L’avrebbe buttata nel bosco—e basta, fine della storia.
Cercò di aprire la portiera, ma le dita non trovavano la maniglia al buio. La disperazione la travolse. “Che sia quel che sia,” pensò. “Se mi uccide, almeno non soffrirò più.” Le lacrime continuavano a scendere, silenziose.
L’auto frenò di colpo. L’autista aprì la portiera senza dire una parola.
“Scendi.”
“No!” Improvvisamente sentì un bruciante desiderio di vivere. Non si sarebbe arresa senza lottare.
“Non fare la sciocca, Giulia,” la voce dell’autista si fece più dolce. “Siamo arrivati.”
Alzò lo sguardo e rimase senza fiato. Davanti a lei c’era Marco, il suo compagno di scuola. Quello che se n’era andato dopo il liceo e aveva fatto carriera chissà dove in una grande città.
“Marco?” sussurrò incredula.
“Chi ti aspettavi?” Lui sorrise, un sorriso familiare e caldo.
“Tu… fai il tassista?” chiese diffidente.
Marco rise. “Ma che tassista! Ti ho vista agitare le mani come se volessi buttarti sotto una macchina.”
“Io…” Giulia si sentì stupida.
“Lo so tutto,” Marco le mise un braccio sulle spalle. “Un viaggio utile. Non sei mai stata così sincera.”
Giulia rise, le lacrime si asciugarono e il cuore cominciò a sentirsi più leggero. Era davanti a casa sua a Fontechiara, e il mondo sembrava aver smesso di crollarle addosso.
“Sono tornato per te,” disse piano Marco, stringendole le dita tra le sue mani calde. “Che bello che non ti sei sposata.”