«Questa non è un albergo!» – mio cognato si è trasferito da noi e non riesco a cacciarlo
Due anni fa io e mio marito ci siamo finalmente trasferiti nel nostro appartamento. Piccolo, ma nostro. In realtà, apparteneva alla sua famiglia, e prima di noi ci aveva vissuto per anni suo fratello maggiore, Matteo. Dire che ero entusiasta di questo dettaglio sarebbe una bugia. Però capivo: la famiglia è importante, bisogna rispettarla. Cercavo di accettare, di non intromettermi, di essere “comprensiva”.
Ma Matteo aveva un problema: mi infastidiva fin dal primo giorno. Trentacinque anni e non aveva mai lavorato seriamente, viveva alle spalle di sua madre e si comportava come se tutti gli dovessero qualcosa. Parlava sempre come un sapientone, pontificava, si atteggiava a filosofo. Ma in realtà era un pigro senza eguali.
Quando ci siamo trasferiti, Matteo non c’era – era andato a Trieste, dove “studiava” e diceva di voler rimanere. Mia suocera ci aveva permesso di fare quello che volevamo con l’appartamento: ristrutturazione, mobili, tutto a nostro piacere. Lei stessa diceva che Matteo non sarebbe tornato. E francamente, era impossibile viverci. Non era neanche una casa, ma una tana grigia, piena di fumo, polvere e macchie.
Carta da paroli marrone sporco, il soffitto ingiallito, un divano con le molle che spuntavano. Sembrava che a vivere lì non fossero stati esseri umani, ma… non so cosa. Ogni angolo era pieno di sporcizia, l’odore era quello di un vecchio locale per fumatori. Io e mio marito abbiamo passato un intero giorno a buttare sacchi di immondizia, poi per settimane abbiamo dormito su un materasso e mangiato su scatoloni. Ma alla fine – mobili nuovi, pareti chiare, comfort, calore. La casa aveva ripreso vita, era diventata un vero nido.
E per due anni abbiamo vissuto in pace. Senza ospiti inopportuni, senza litigi. Avevo quasi dimenticato chi fosse Matteo. Poi un giorno mia suocera ha chiamato – con una voce tremante, quasi sussurrando: «Matteo torna. Lì non ha combinato niente».
Mio marito ha reagito con calma. Tipo: «al fratello è andata male, capita». Ma dopo qualche giorno, mia suocera ha richiamato: «Non viene da me, ma da voi. Gliel’ho proposto, ha rifiutato. Io vivo in campagna, e lui, guarda un po’, vuole stare in città». La sua voce era stanca. Sapeva che la situazione era imbarazzante, ma evidentemente non aveva alternative.
Matteo è arrivato. Con una borsa, le sigarette e le sue solite abitudini. Non abbiamo figli, lo spazio è poco, ma abbiamo sistemato un lettino pieghevole in cucina per lui. Pensavo sarebbe rimasto una settimana, al massimo due. Mi sbagliavo. Si è insediato “a tempo indeterminato”.
E poi è cominciato. Piatti sporchi nel lavandino. Impronte di scarpe ovunque, persino sul tappeto in camera. Il portacenere in cucina sempre pieno. Le finestre non si potevano aprire, l’odore di fumo era come in una cantina. E soprattutto, quel tono: «Ma perché compri tutta questa carne? Bisogna risparmiare». «Non lavi bene le mensole». «Il detersivo è troppo costoso, che te ne fai?»
Lui, che non ha mai lavorato, adesso mi insegna come vivere. E io resisto. Poi chiamano mio marito per un lavoro fuori sede – tre mesi. E io resto sola con questo… coinquilino.
Ho provato a spiegarglielo. Gli ho detto che è pesante, che non voglio vivere sotto lo stesso tetto con un altro uomo che non ringrazia nemmeno per la cena. Ma lui sospira e dice: «È mio fratello. È in difficoltà. Aspetta un po’».
Ma io non ce la faccio più. Questa è casa mia. Il mio spazio, la mia aria. Io pulisco, cucino, tengo tutto in ordine. Lui, invece, vive come se fosse normale. Non voglio sembrare isterica con mio marito. Ma non sono la domestica né la gestrice di un ostello. Non siamo in una casa popolare.
Cosa devo fare? Sopportare in silenzio sporco, sigarette e prediche? Oppure impormi e rischiare la pace in famiglia? Ho paura che, nel voler mantenere l’armonia in casa, perderò me stessa.