Vale la pena perdonare un uomo che torna con il cappello in mano? Io non voglio vivere così, ma nemmeno tornare da lui.
Con Vittorio siamo stati sposati per quattordici anni. Pensavi che dopo tanto tempo, superate tante cose, eravamo al sicuro. Avevo letto che la maggior parte dei divorzi avviene nei primi tre anni, poi sempre meno. Noi, a quanto pare, eravamo l’eccezione. Una storia comune, diciamo: lui se n’è andato con una più giovane. Ma per me è stato un terremoto. La vita mi si è spaccata sotto i piedi come il ghiaccio, e sono caduta nel vuoto.
Vittorio mi ha fatto la proposta quando eravamo poco più che ragazzini. Io, una ragazza semplice di una famiglia normale, lui figlio unico di una famiglia benestante e influente. I suoi ci hanno aiutato, regalandoci un bell’appartamento di tre stanze in centro. Ci siamo sposati in fretta. All’inizio non riuscivamo ad avere figli, ormai avevo perso le speranze, ma poi è arrivato nostro figlio, e due anni dopo, nostra figlia. Vivevo come in un sogno: casa accogliente, famiglia, bambini. Tutto sembrava perfetto.
Poi è arrivata lei. La nuova collega: carina, servizievole, con occhi da vittima e un’andatura da vincitrice. E improvvisamente, lui ci butta fuori di casa, me e i bambini. Senza troppi giri di parole: “Sarà meglio così”. Si è tenuto l’appartamento, pagava il mantenimento, ma solo sulla carta. E io come facevo a vivere? Senza istruzione, senza esperienza, con due bambini da crescere?
I miei genitori ci hanno ospitati nella vecchia casa della nonna. Era stretto, difficile, spaventoso. Ho dovuto reimparare a respirare. A risparmiare, a lavare i panni a mano, a correre tra i negozi con la carrozzina e lavorare fino allo sfinimento. Piano piano mi sono ripresa. Sono diventata più forte. Mi sono rassegnata.
È passato un anno. E poi, una telefonata. Vittorio. “Mi dispiace”, dice. “Ho sbagliato. Non sapevo cosa stavo perdendo.” Parlava come se ci fossimo lasciati il giorno prima. Voleva incontrarmi. Per un po’ ho resistito, ma alla fine ci siamo visti. In un caffè economico alla periferia della città, non certo nel posto dove una volta sorseggiavamo vino guardandoci negli occhi.
E sapete una cosa? Quello seduto di fronte a me non era più lui. Non quell’uomo fiero, curato, sicuro di sé. Questo era uno sconfitto, con le spalle curve, gli occhi gonfi e una barba di una settimana. Era vuoto. Tutto quello che lo aveva reso l’uomo della mia vita era svanito. Anche la sua storia non era originale: lei chiedeva soldi, regali, viaggi. Gli ha distrutto il lavoro, ha passato informazioni alla concorrenza. Poi se n’è andata. E lui è rimasto solo.
Piangeva. Si è messo in ginocchio. Diceva che noi eravamo la sua famiglia, che amava i bambini, che amava me. Avevo paura di cedere. Invece no. Lo guardavo e non sentivo nulla. Né pietà, né dolore, né amore. Solo indifferenza.
Gli ho detto: «Smettila di fare la figura del povero pirla». Non per cattiveria, solo per stanchezza. Non volevo più sentire rumore, vedere quello sguardo da cane bastonato. Non mi importava se avesse gridato. Ci sono persone che urlano per strada, e nessuno ci fa caso. Per la prima volta ho sentito di essere libera da lui.
Ma a casa mi sentivo vuota. Non per la solitudine, ma per tutte quelle domande senza risposta. Ne ho parlato con mia madre e le amiche. Loro sono state nette: “Ti ha tradito, e lo rifarà”. Dicevano che non avrei neanche dovuto incontrarlo. Mia madre, invece, era felice. Diceva che ai bambini serve un padre. Che io, come donna, non dovrei buttare tutto all’aria. Che la famiglia è importante, anche se il cuore è muto.
Ho ascoltato tutti, ma la risposta non l’ho trovata. È passato un mese. Io vivo ancora dalla nonna. Cucino da sola, decido da sola come vivere. Vittorio ha iniziato a mandare più soldi, ha smesso di bere. Continua a chiedermi di tornare, cerca di dimostrare che è cambiato. E io guardo la mia vita e so una cosa: non voglio che resti così. Ma non posso nemmeno tornare da lui.
Non sono una ragazzina. Non ho vent’anni. Eppure mi sento bloccata. Ho paura di fare un passo. Avanti, nell’ignoto. Indietro, nel tradimento. Non so dove andare. E ogni sera, quando i bambini dormono, guardo fuori dalla finestra e chiedo a me stessa: vorrei solo capire cosa voglio davvero. Vorrei solo ritrovare la capacità di sentire.