— Lucia, mio fratello Andrea ha chiamato — disse Marco entrando in cucina. — Lui e Simona passeranno da noi sabato. Solo loro due, senza i coniugi. Ha detto che vuole parlare seriamente.
— Curioso, di cosa mai vorrà discutere così sul serio, senza mogli né figli? — strizzò gli occhi Lucia. — Anzi, no, non indovinare. Lo so già. L’eredità. Sono passati due mesi e finalmente si sono decisi.
Marco annuì in silenzio. L’aveva sentito fin dal giorno in cui zia Anna gli aveva lasciato, a lui, Lucia e alla loro figlia Beatrice, un appartamento nel centro e una villetta al mare. Per quattro anni si erano presi cura di lei quando si era ammalata. Gli altri parenti? Solo comparivano d’estate in vacanza, e quando la zia chiedeva di portarla in villetta per respirare un po’ d’aria, tutti erano sempre “occupati”.
Sabato, alle quattro in punto, Andrea e Simona bussarono alla porta. Senza tanti preamboli, si sedettero in salotto.
— Siamo qui per parlare della villetta — attaccò subito Andrea. — L’appartamento va bene, tenetevelo. Ma la villetta… Noi l’abbiamo sempre curata.
— No — rispose Lucia con tono gelido. — Non l’avete curata. Ci andavate in vacanza. La sfruttavate, ma non aiutavate. E, tra l’altro, quando zia vi chiamava, non siete mai venuti.
— E chi avrebbe avuto tempo? Abbiamo figli, nipoti, il lavoro! — sbottò Simona.
— Ma ora le pretese ce le avete — aggiunse Marco. — Strano, no?
— Voi almeno l’avete mai portata al mare? — ribatté Simona con sarcasmo.
— Non avevamo una villetta, ma due volte le abbiamo comprato un soggiorno in un centro termale — rispose Lucia tranquilla. — E siamo nel testamento. È proprietà comune. La venderemo.
— Sul serio? — fece Andrea con una smorfia. — Per qualche metro quadro in una casa che cade a pezzi litigate con la famiglia?
— Se è una rovina, perché vi aggrappate tanto? — replicò Marco.
Il giorno dopo squillò il telefono.
— Ma che fai, Marco?! Siamo venuti con Massimo a prendere le nostre cose in villetta e hanno cambiato le serrature!
— Già. Sulla porta e sul cancello. Dovevate avvisarci. Sabato passiamo con Lucia, venite pure. Prendete le vostre cose. Ma non prima.
Appeso il telefono, Marco si girò verso la moglie.
— Come hai fatto a capire che sarebbero corsi là?
— Non conosci i tuoi parenti? Se non cambiavi le serrature, avrebbero svuotato tutto fino all’ultimo chiodo.
Vendettero la villetta. Con quel ricavato e quello del vecchio appartamento, comprarono un trilocale a Napoli, in un nuovo palazzo a due passi dal mare. Al lido ci si arrivava in dieci minuti in macchina.
Beatrice rimase a vivere nell’appartamento di zia Anna, mentre finiva l’università. Marco trovò lavoro al porto, Lucia iniziò a insegnare in una scuola vicina. Sembrava iniziata una vita serena. Ma non fu così.
Da marzo, i telefoni non smisero di squillare. Parenti dimenticati da anni si ricordarono all’improvviso di avere “cari”. La prima a chiamare fu Simona:
— Ci avete tolto la villetta, ora non abbiamo più dove andare. Quindi veniamo da voi a luglio. Tutta la nostra famiglia, con la nipotina di Andrea.
— Simona, non abbiamo invitato nessuno. Qui viviamo, non gestiamo un albergo. Se volete vacanze, prenotate per tempo.
— Hai visto i prezzi degli hotel a Napoli?!
— No. Ma se sono troppo cari, cercatevi qualcosa di più economico. Qui no. Non ospitiamo nessuno.
— Quindi i genitori di Lucia li avete ospitati, ma tua sorella no?!
— Erano i suoi genitori. Se i nostri fossero vivi, li avremmo accolti anche loro. Ma cinque adulti e bambini per due settimane? No, grazie.
— Vedrai! Rimarrete soli e nessuno si ricorderà di voi!
— Tranquilla. Da quando ci siamo trasferiti, abbiamo riscoperto così tanti “parenti” che basterebbero per due case. Tutti ci cercano da maggio a settembre. Poi, silenzio.
Un silenzio che ormai era diventato la parte più preziosa della loro vita.